martedì 29 ottobre 2013

Questa grigia innocenza

 

GIOVANNI GIUDICI

UNA SERA COME TANTE

Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un'altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti coi giornali, i suoi guaìti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l'educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall'angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni
siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?
Ma che si viva o si muoia è indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene
qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
È nostalgia di futuro che mi estenua,
ma poi d'un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?
Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani... pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi calcola fra i suoi lungo la strada che scendo.
C'è più onore in tradire che in esser fedeli a metà.

(da La vita in versi, 1965)

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Una sera come tante, con tutte le incombenze di una normale sera. E in una tranquilla sera senza fronzoli, senza impegni, il poeta Giovanni Giudici si pone le domande di una vita, di quella vita vissuta con “grigia innocenza” che ci tiene a galla nell’abulico scorrere di giorni spesso uguali, simili l’uno all’altro nel loro rosario di mesi e di anni. Succede di fermarsi e porsi domande del genere, di promettersi di trovare del tempo per noi, di “vivere”: ma, come scrive in La stazione di Pisa e altre poesie lo stesso Giudici, “L’oggi mi si fa ieri, un tarlo, un trapano, / un martello m’incalzano: la fronte / degli uomini soggiace; la mia palpebra / cede a sempre più brevi intermittenze”.

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Hine

FOTOGRAFIA © LEWIS W. HINE

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LA FRASE DEL GIORNO
Metti in versi la vita, trascrivi / fedelmente, senza tacere / particolare alcuno, l'evidenza dei vivi.
GIOVANNI GIUDICI, La vita in versi




Giovanni Giudici (Porto Venere, 26 giugno 1924 – La Spezia, 24 maggio 2011), poeta e giornalista italiano. Della sua formazione cattolica e del suo lavoro nell'industria ha fatto i poli di una tensione che lo trascende e caratterizza il suo impegno civile. Numerose le sue traduzioni: Frost, Sylvia Plath, Orten, Pound, Ransom e Puškin.


2 commenti:

Vania ha detto...

...dei "colpi" alla vita questa poesia...intensi e meno...come la vita è.

ciaoo Vania:)

DR ha detto...

una sera come tante, dice il titolo... ma i pensieri di Giudici non sono quelli di tutte le sere