lunedì 11 agosto 2008

I moralisti francesi


Nel XVII e nel XVIII secolo, in Francia vi furono dei letterati che si misero a riflettere sulla vita, a ricercare il midollo stesso dell’esistenza. Non erano filosofi, ma si avvicinavano molto ad essi. Dal 1762 il Dizionario dell’Accademia Francese incominciò a definirli “moralisti”: l’autore della voce probabilmente pensava alla filosofia morale.

E allora eccoli qui: Montaigne, La Rochefoucauld, La Bruyère, Vauvenargues, Chamfort… Analizzavano la società, la corte, le passioni e ne traevano argute massime, piccole “fotografie” che descrivevano minuziosamente, anche quando erano lapidarie, un sentimento o un’impressione. Non a caso Montaigne si definì “spettatore della vita“. E, come dal palco di un teatro, osservavano quello spettacolo sempre nuovo e sempre uguale che è la vita umana.




Michel de Montaigne, dunque, un precettore dell’anima con i suoi “Saggi”, un filosofo del vivere. Un medico anche: le sue prescrizioni, prese a piccole dosi ci possono curare:

Il nostro desiderio disprezza e abbandona quello che abbiamo, per correr dietro a quello che non abbiamo.

La cosa di cui ho più paura è la paura.

Non è la penuria ma l'abbondanza che genera l'avarizia.

L'abitudine ci nasconde il vero aspetto delle cose.

Noi abbiamo, come unica pietra di paragone della verità e della ragione, sempre e solamente le opinioni e le usanze del paese in cui viviamo... chiamiamo barbarie tutto ciò che non rientra nei nostri costumi abituali.




François de La Rochefoucauld, un duca, nelle sue “Massime” teorizzò l’amor proprio e penetrò nelle ombre più remote del cuore umano:

Se anche dicessero di noi tutto il bene che vogliono non ci direbbero mai nulla di nuovo.

Se resistiamo alle passioni ciò dipende più dalla loro debolezza che dalla nostra forza.

Non si è mai tanto felici né tanto infelici quanto si crede.

Siamo tanto abituati a mascherarci di fronte agli altri che finiamo col mascherarci di fronte a noi stessi.

Il piacere dell'amore consiste nell'amare. Si è più felici per la passione che nutriamo in noi che per quella che provochiamo in altri.



Jean de La Bruyère nei suoi “Caratteri” usò invece toni amari e satirici e si rivelò un fine conoscitore degli uomini. L’attualità delle sue massime è impressionante:

Ci sono degli stupidi, e perfino degli imbecilli, che occupano posti magnifici.

La maggior parte degli uomini impiega la prima parte della propria vita a rendere miserabile l'altra.

Il dovere dei giudici è di applicare la giustizia; il loro mestiere è di ritardarla, ciascuno conoscendo il proprio dovere e facendo il proprio mestiere.

Ci son talvolta, nel corso della vita, piaceri così cari e rapporti così teneri che ci vengono proibiti, che diventa naturale desiderare almeno che siano permessi; seduzioni così forti non possono essere superate se non da quella di sapervi rinunciare per virtù.




Il marchese Luc de Vauvenargues, autore di "riflessioni e massime", nella sua breve vita prestò attenzione al comportamento umano: anch’egli era un perfetto osservatore, interessato soprattutto alla morale:

Le massime degli uomini scoprono il loro cuore.

Le cose che sappiamo meglio sono quelle che non abbiamo mai imparato.

L'inquietudine è un desiderio senza oggetto.

Il mondo è pieno di persone mediocri che, essendo incapaci di fare qualcosa di buono, cercano di consolarsene negando ogni valore a tutto ciò che fanno i migliori.

Con l'età aumentano i bisogni della natura e diminuiscono quelli dell'immaginazione.



Nicolas Chamfort nel secolo della Rivoluzione francese osservò con lucida disperazione i costumi e i cambiamenti imposti da essa. Il suo pensiero tragicamente austero si rifletterà sulla sua vita stessa e lo porterà al suicidio. La sua opera è “Massime e pensieri”:

Per male che un uomo possa pensare delle donne, non c'è donna che non ne pensi molto peggio di lui.

Quando riveliamo i nostri difetti è sempre per vanità.

Non è facile raggiungere la felicità; difficilissimo è trovarla in noi, impossibile rinvenirla altrove.

Il passato è ricoperto da un velo nero e l'avvenire da un velo rosa perché il primo lo ha tessuto l'esperienza e il secondo la speranza.

L'amore piace più del matrimonio, per la ragione che i romanzi sono più divertenti della storia.



Ebbene, leggiamo le loro massime e sentiamo vibrare in noi una corda, forse quella dell'anima, forse quella del cuore, di certo capiamo che i moralisti hanno reso vera la sentenza di Terenzio: “Sono un uomo, niente di ciò che è umano reputo a me estraneo“.



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LA FRASE DEL GIORNO
Il mondo non è che una scuola di ricerca.
MICHEL DE MONTAIGNE, Saggi

2 commenti:

Alberto ha detto...

Credo che a volte il passo che separa letteratura è filosofia sia davvero breve; esistono grandi culture - come quella cinese - dove una distinzione tra filosofia e letteratura non è mai esistita. Hegel, figlio del suo tempo, rifiutò di definire 'filosofia' il pensiero orientale cinese.

DR ha detto...

Ogni letterato è certamente filosofo. Per poter scrivere bisogna porsi delle domande, e questa è filosofia.