martedì 17 marzo 2009

La filosofia di Ungaretti


GIUSEPPE UNGARETTI

ALLEGRIA DI NAUFRAGI


E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.

Versa, il 14 febbraio 1917

(da Allegria di naufragi, Vallecchi, 1919)


Che ostinazione, che attaccamento alla vita in Giuseppe Ungaretti: questa breve poesia che ha poi dato il titolo alla raccolta del 1919, "L'allegria", riporta dritti a un'altra lirica scritta durante la Prima guerra mondiale, "Veglia", nella quale il poeta, rimasto tutta la notte accanto a un compagno caduto, dice "Non sono mai stato / tanto / attaccato alla vita". Tutto il contrario di Cesare Pavese, nella cui opera traspare quella tendenza autodistruttiva che poi lo scrittore torinese metterà in pratica.

Ungaretti invece, che altrove si definisce "uomo di pena", non si lascia deprimere dalla sofferenza, ma riparte dopo ogni fallimento e dopo ogni sconfitta: c'è in lui la volontà fortissima di ricominciare da capo, di riprendere il viaggio del vivere. "Allegria di naufragi" sintetizza la filosofia ungarettiana, il non abbandonarsi agli eventi ma il passarli, il resistervi. Ed è significativo che la poesia risalga al febbraio del 1917, quando il conflitto era ancora incertissimo e la crisi non era solo quella personale di ogni uomo, ma anche quella di una intera civiltà. L'allegria non è uno scherno, un'irrisione, ma uno stato d'animo, una consapevolezza che si può continuare, alla stregua dell'uomo di mare che riprende il largo su una nuova barca dopo l'ultimo naufragio. Che sia illusione o speranza la molla che spinge a ripartire, non importa: quello che conta è che serva a dare la prima coraggiosa spinta.

Nella prefazione a L'Allegria Ungaretti ammette: "Non sono il poeta dell'abbandono alle delizie del sentimento: sono abituato a lottare, e devo confessarlo - gli anni vi hanno portato qualche rimedio - sono un violento: sdegno e coraggio di vivere sono stati la traccia della mia vita. Volontà di vivere nonostante tutto, stringendo i pugni, nonostante il tempo, nonostante la morte". L'allegria allora diventa un attimo strappato alle grinfie del tempo, l'esultanza per aver consapevolmente saputo proseguire il cammino.


Ivan K. Aivazovsky, "Nave in alto mare sotto la luna"




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LA FRASE DEL GIORNO
Soltanto la poesia - l'ho imparato terribilmente, lo so - la poesia sola può recuperare l'uomo, persino quando ogni occhio s'accorge, per l'accumularsi delle disgrazie, che la natura domina la ragione e che l'uomo è molto meno regolato dalla propria opera che non sia alla mercè dell'Elemento.
GIUSEPPE UNGARETTI, Ragioni d'una poesia




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ungaretti era un lettore straordinario. Ogni sua poesia che leggo la immagino recitata da lui.
http://www.youtube.com/watch?v=mFB1iR_54B8

DR ha detto...

Concordo. Un modo tutto particolare ma espressivo:

http://it.truveo.com/Ungaretti-I-miei-fiumi/id/396316790258025188