mercoledì 9 settembre 2009

La battaglia di Teutoburgo

Una delle più grandi sconfitte dell’Impero Romano fu quella della Foresta di Teutoburgo, nei pressi di Osnabruck, nell’odierna Germania. Il disastro si verificò nella battaglia durata tre giorni, dal 9 all’11 settembre del 9 d.C. Duemila anni fa esatti.

Tre legioni romane, ventimila uomini bene armati ed equipaggiati, agli ordini dello sprovveduto generale Publio Quintilio Varo, furono sterminate dal raccogliticcio esercito di un capo germanico, Arminio, il cui nome è divenuto simbolo dell’identità tedesca (c’è una squadra di calcio, l’Arminia Bielefeld, molti tedeschi si chiamano Armin o Hermann) ed è servito a fini nazionalistici nella riforma luterana, nella guerra franco-prussiana e nell’orrore nazista.

In quei giorni di settembre, dopo un’estate tranquilla, Varo stava riportando le sue legioni nei quartieri d’inverno. Ma quando stava puntando su Alisio, ebbe notizia di lotte tra tribù confinanti e obbligò l’esercito a una diversione per mettere pace tra i contendenti. Era una trappola, naturalmente. E Varo ci finì dentro. “La più comune causa di un disastro è il senso di sicurezza” come commentò lo storico romano Velleio Paterculo: Arminio lo sapeva e ne approfittò per mettere in pratica il suo piano fomentato da anni di odio antiromano.

A nulla valsero i tentativi di Segeste, suocero di Arminio, fedele ai romani, di mettere in guardia il burocrate Varo: la XVII, la XVIII e la XIX legione, con al seguito l’impedimento delle vettovaglie e delle famiglie, scortati da Arminio, che sembrava accompagnare amichevolmente la colonna, si aprirono il varco nell’oscurità della foresta, che nel 9 d.C. copriva una vasta zona tra l’Ems e il Weser. E lì Arminio e i suoi scomparvero. I romani erano al massimo del disordine, frammisti ai carriaggi e alla massa di famigliari che seguivano disarmati, vi fu un temporale che spezzò le cime degli alberi causando altra confusione. L’attacco giunse improvviso: gli uomini di Arminio lanciarono nugoli di giavellotti, i romani organizzarono uno straccio di linea difensiva e bruciarono i carri per aprirsi una via di fuga verso la campagna. Invece si ritrovarono nella foresta e subirono gravissime perdite, una forte pioggia ostacolò ancora di più i loro movimenti, inzuppando gli scudi e rendendoli inutilizzabili.

 

Otto Albert Koch, “Varusschlacht”, 1909

Fu allora che Arminio ordinò l’assalto finale all’arma bianca. Varo e le più alte cariche militari, invece di combattere fieramente si tolsero la vita, solo Vala Numonio, comandante della cavalleria, riuscì a fuggire. “L’esercito romano fu sterminato fino all’ultimo uomo da un nemico che massacrò quei soldati come se fossero bestie” racconta ancora Velleio Paterculo. Quanti furono catturati vennero crocifissi oppure arsi vivi o ancora immolati in sacrificio agli dei.

Delle legioni di Varo per anni non si seppe più nulla, solo voci di una rivolta e di un massacro. Più tardi, fu Germanico a scoprire i resti dell’esercito romano nella selva: ossa calcinate, frammenti di giavellotti, resti di cavalli, teschi attaccati agli alberi. Racconta Svetonio nelle “Vite dei Cesari”: “Quando giunse la notizia... dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba ed i capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte e gridando: «Varo rendimi le mie legioni!»”.

Per l’Impero Romano la sconfitta nella foresta di Teutoburgo fu l’inizio della fine.

La foresta di Teutoburgo © Nikater (Licenza GNU)

 

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