domenica 28 febbraio 2010

Ghiorgos Stoiannìdis

 

Nato a Xànthi nel 1912, Ghiorgos Stoiannìdis, collaborò con le principali riviste letterarie greche. La sua esperienza poetica è particolare: da una poesia di sensibilità lirica che canta i sentimenti e l’idilliaca visione della vita passa a uno scavo psicologico che affronta i temi dell’ansia e del dolore, delle inspiegabili domande dell’esistenza. A questo profondo mutamento corrisponde anche una variazione nello stile, che da ricco e luminoso si fa nudo e tagliente, spesso venato da un gusto amaro e ironico. È lo stesso Stoiannìdis a commentare questa improvvisa cesura: “C’è sempre un altro al mio posto / lo guardi e non lo riconosci”. La poesia diventa così l’ancora di salvezza, l’unica cosa che ci può salvare: “Amore mio, / non esistono più miracoli / solo sarchiando la cenere / scopri la poesia. / Mentre pian piano le mie ginocchia viaggiano / verso la felicità della poesia”.


FANCIULLA DAL FRESCO VESTITO

Fanciulla dal fresco vestito,
diafana gloria del delicato azzurro,
fanciulla della bionda rugiada
che insegui i calici del vento,

fanciulla che sogno, tenue seta del sonno,
primaverile sussurro sopra rami lunari,
fanciulla della nuda acqua, dove il cigno si spezza le ali,
bianca come il turgido seno, fredda come il tuo cuore!

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IN UN BICCHIERE

In un nudo bicchiere
sino all'alba porto la mia sete.

Le mie dita si sono distese per dormire,
s'intrecciano a pregare
all'ombra del tuo viso.
(Lanuggine di buon giorno spento
dondola afflitta).

Converso: da terra straniera
l'ospite bussa alla mia porta.

Chi sarà?

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BRILLANO I FERMAGLI DEL SOLE

Brillano i fermagli del sole
nella cintura di mezzogiorno.
Ritorna dal sonno del mare
con lampi di ciottoli,
con germinazioni ciarliere,
con un petto dove il cielo apre il suo colore.

Ritorna insonne,
come una viola in un'acqua senza nuvole,
sollevando una manciata di campane,
biondo coltello solcato di luce,
candido dente in bocca di favo.

Chiara come la radice di fanciullo
irradia al di là di ogni attimo
mille occhi,
per appendere rami innevati,
boccioli di rose
in un filo che trema
come la voce dei passeri.

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FOTOGRAFIA © MANUCO.

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LA FRASE DEL GIORNO
Universo che mi spazia e m’isola, poesia.
ALFONSO GATTO, Poesia




Ghiorgos Stoiannìdis (Xanthi, 1912 - Salonicco, 1994), poeta greco. Partita dall'area del simbolismo e della scrittura associativa astratta, la sua poesia mantiene immutata l'intensità delle emozioni e il predominio dell'elemento erotico, associati ad una poetica “pura” del linguaggio e alla sua rigorosa organizzazione.

sabato 27 febbraio 2010

Ferita d’amore

EMILY DICKINSON

OGNI CICATRICE TERRÒ PER LUI

Ogni Cicatrice terrò per Lui
Piuttosto dirò della Gemma
Portata nella Sua lunga Assenza
La più Costosa

Ma tutte le Lacrime che versai
Fossero da Lui contate una ad una
Di Sue ne cadrebbero tante di più
Che ne sbaglierei la somma -

(da Poesie)

“L’amore è sutura, / non benda, / non scudo, / sutura” recita una poesia bellissima e dolorosa di Marina Cvetaeva. E, con femminile sensibilità, ce lo conferma Emily Dickinson in questi versi del 1864. L’amore sa colpire e ferire, ci sa pugnalare a tradimento: eppure molto spesso nascondiamo quelle lesioni, ci crogioliamo nel ricordo, nella speranza che il fuoco covi sotto la cenere e riprenda un giorno a divampare.

Emily Dickinson crede, forse ingenuamente, che se l’amato si rendesse conto del dolore che le ha provocato verserebbe altrettante lacrime e forse anche di più – una strofa che ricorda il Catullo di “Da mihi basia mille, deinde centum” - tanto da scompigliare il numero: sarò cinico, ma io non ne sarei così sicuro…

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore iride dorata dei sogni della fanciullezza, è sovente dolore che lacera il cuore, che strazia le viscere e che tronca lo stame della vita.
FELICE GUZZONI, La figlia del cardinale




Emily Elizabeth Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 –15 maggio 1886), poetessa statunitense, è considerata tra i migliori lirici del XIX secolo. La sua vita fu priva di eventi esteriori: dopo i trent'anni scelse un volontario isolamento nella casa paterna. La sua poesia spazia dalle piccole cose della vita quotidiana – la natura, le stagioni – ai grandi temi dell’anima innestati sul tema della solitudine.


venerdì 26 febbraio 2010

Mille porte fa


ANNE SEXTON

GIOVANE

Mille porte fa,
quando ero una ragazza sola
in una grande casa con quattro
garage, una notte d’estate
se ricordo bene,
ero stesa sul prato e sotto di me, increspato,
il trifoglio, e sopra, distese, le stelle,
la finestra di mia madre un imbuto
che incanalava luminoso calore,
e la finestra di mio padre semichiusa,
un occhio da cui passa chi dorme,
e le assi della casa
erano bianche e lisce come cera
e milioni di foglie sbattevano,
come vele sui loro strani gambi
e i grilli ticchettavano tutti insieme
e io, nel mio corpo nuovo fiammante,
non ancora di donna,
facevo domande alle stelle
e pensavo che Dio vedesse veramente
calore luce dipinta e gomiti
ginocchia sogni buonanotte.

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Un momento nel tempo, un insignificante momento. Una notte d’estate che nel ricordo di Anne Sexton assume rilevanza. Nello scrigno della memoria è il tempo dell’adolescenza, la sete di vivere e di amare che si sprigiona in quell’intenso periodo della vita, la consapevolezza del proprio corpo che cambia e che lancia stimoli nuovi. Una sera così, normale. Il canto dei grilli, il prato fresco, la casa illuminata dalle luci della notte. Quella notte Anne Sexton non è una donna segnata da un disagio psichico che riesce a superare a stento solamente attraverso la poesia. Non è la donna che alla soglia dei 46 anni si chiuderà nel suo garage di Boston e la farà finita con il monossido di carbonio. È solo una ragazza sdraiata sull’erba a guardare le stelle e a porsi domande con l’ingenuità dei suoi anni. Mille porte fa…

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Christina Vilgiate, "Ragazza sull'erba"

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LA FRASE DEL GIORNO
La gioventù di noi tutti è un sogno, una forma di follia chimica.
FRANCIS SCOTT FITZGERALD, Racconti dell’età del jazz




Anne_Sexton_by_Elsa_DorfmanAnne Sexton (Newton, Massachusetts, 9 novembre 1928 – Weston, Massachusetts, 4 ottobre 1974), scrittrice e poetessa statunitense. La sua poesia, definita confessionale, con dettagli intimi della sua vita privata, descrive la lunga battaglia contro la depressione, terminata con il volontario avvelenamento da monossido di carbonio nel garage di casa.


giovedì 25 febbraio 2010

Schiele e il suo tempo

Al Palazzo Reale di Milano, inaugurata ieri e aperta fino al 6 giugno, è in corso una mostra che ci consente di osservare da vicino una delle epoche più fertili dell’Austria, quando il piccolo stato era ancora una potenza mondiale. “Schiele e il suo tempo”, curata da Rudolf Leopold con catalogo edito da Skira, espone un centinaio di opere della collezione Leopold.

Egon Schiele è il pittore che portò in dote all’espressionismo la sua ossessione erotica, il senso del tragico legato al sesso, l’inquietudine che trasforma le decorazioni di Klimt, altro artista in mostra, in un tratto aspro e drammatico. Il suo tempo è quello che va dalla Secessione di Vienna, il movimento di avanguardia di derivazione Art Nouveau e liberty fondato e presieduto da Klimt – e dunque dal 1897 – alla fine della Grande Guerra, che segnò la dissoluzione dell’impero asburgico e aprì la strada a un altro austriaco, il pittore frustrato Adolf Hitler.

Fu il tempo in cui la Grande Vienna si trovò al centro del mondo culturale: vi fiorirono Sigmund Freud e la sua psicanalisi, il compositore Arnold Schönberg che inventò la dodecafonia scomponendo la musica, lo scrittore Robert Musil, capace di raccontare attraverso il conflitto interiore la disgregazione di quella società, il filosofo Ludwig Wittgenstein, attento analizzatore del linguaggio e della sua scomposizione, il giornalista e scrittore Karl Kraus, fustigatore di quegli ultimi sussulti dell’Impero (“Austria: cella d’isolamento dove è permesso gridare”).

Schiele dunque è assurto a epigono di quel periodo: a Palazzo Reale sono esposte una quarantina di sue opere, dalla “Donna inginocchiata con abito rosso e arancione” a “Eremiti”, autoritratto con Klimt, da “La danzatrice Moa” all’espressivo “Nudo disteso” che rivela nel dettaglio la sua ossessione erotica. Poi altri espressionisti: Richard Gerste, Oskar Kokoschka, Kolo Moser, Anton Kolig e naturalmente il decorativismo simbolista di Gustav Klimt. Tutti artisti capaci di indagare i tormenti privati, di esprimere l’io nelle proprie opere. L’Arte racconta così quello che non si può dire, dice l’indicibile, espone i turbamenti, le pulsioni, narra la dissoluzione che prelude alla Grande Guerra, carneficina per l’Impero austriaco..



Egon Schiele, “Donna inginocchiata con abito rosso e arancione”

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SCHIELE E IL SUO TEMPO
Palazzo Reale
Piazza Duomo, 12
MILANO

dal 24 febbraio al 6 giugno 2010
Lunedì: 14.30 - 19.30
Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 9.30 - 19.30
Giovedì e Sabato: 9.30 - 22.30
Ingresso: Intero € 9,00 (7,50 ridotto, 4,50 scuole)

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LA FRASE DEL GIORNO
A Vienna le strade sono lastricate con la cultura. Nelle altre città sono lastricate con l’asfalto.
KARL KRAUS, Detti e contraddetti

mercoledì 24 febbraio 2010

Un amore crepuscolare

CARLO CHIAVES

L’IMPETO VANO

Tu che non fosti mia,
per quanto amor già m'abbia
di languore, di rabbia
stremato, e di follia,

per quanto sovra l'orme
vaghe, senza mai pace
si avventasse il rapace
desio che non s'addorme,

mia non sarai:più acerbo,
perché più vano, il duolo
cupo, incessante, solo,
mi struggerà ogni nerbo.

Gioco non ha carezza
contro il gelido smalto,
che spunterà ogni assalto
de la mia giovinezza.

Di questa avida e pronta
ch'io volli darti intera,
mia gioventù, che spera,
ch'arde, che brama, e affronta

con un impeto insano
tutto che a lei si niega,
che più combatte o prega,
quanto il tentar più è vano,

che a tua bellezza chiusa
più si rivolge e avventa,
perché meglio la tenta,
quanto più si ricusa.

Così tu vai, sicura,
entro una fiamma accesa,
barbaramente illesa,
ferocemente pura.

(da Sogno e ironia, 1910)

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Un amore non corrisposto è quello che canta con i suoi toni crepuscolari e il suo linguaggio ancora ottocentesco il torinese Carlo Chiaves, figlio di un ministro del governo Lamarmora, procuratore legale e poeta della “banda Gozzano”. Un amore che non ha sbocchi ma che continua a rodere il cuore, a bruciarlo con la sua fiamma, a spuntare con la sua fredda durezza le armi della giovinezza. Un tema caro ai crepuscolari: si pensi alle “donne impossibili” di Gozzano, l’amica di nonna Speranza, la signorina Felicita, ma anche al “cuore desolato” di Corrado Govoni. Quella che Edoardo Sanguineti definisce “la proclamazione dell’incapacità d’amare, la teorizzazione poetica dell’aridità sentimentale”.

La chiusa ci riporta un’eco di Mario di Luzi: “Entri nei miei pensieri e n’esci illesa” (Notizie a Giuseppina dopo tanti anni). La poesia è capace di queste magie…-



Gustav Klimt, “Emilie Flöge”.

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LA FRASE DEL GIORNO
L’amore non corrisposto fa male, ma l’amore che non può essere corrisposto riesce davvero a buttarti giù.
SAM SAVAGE, Firmino




Carlo Chiaves (Torino, 28 novembre 1882 – 16 maggio 1919), poeta e giornalista italiano. Amico di Gozzano e di Amalia Guglielminetti, nei suoi versi esprime con grazia i temi della poesia crepuscolare. Letterato versatile, praticò anche il teatro.



martedì 23 febbraio 2010

Un bagliore che prude

JANET FRAME

IN UN MONDO DI GRANATO

In un mondo di granato
qualcosa turba la roccia
- un'eruzione, un bagliore che prude
che non dormirà e non sarà placato,
un cielo notturno di stelle senza cielo
o notte; e le stelle che pungono.

Questa roccia un tempo invisibile
nel suo fiume di ghiaccio, ora è malata.
Un uomo si arrampica all'altezza delle nuvole
per coglierne uno sguardo,
per far rinvenire questo incurabile colore di sangue,
infezione di luce.

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La scrittrice neozelandese Janet Frame, scomparsa a 70 anni nel 2004, due volte candidata al Premio Nobel, amava esplorare l'alienazione e l'isolamento. La sua vicenda ricorda molto quella della nostra Alda Merini: disagio psichico e lungo ricovero in ospedale psichiatrico tanto da arrivare fino alla soglia dell'elettrochoc.

Qui coglie un vago ma profondo malessere, un malore che colpisce addirittura l'inanimato, la roccia. La Frame lavora su questo suo simbolismo e porta avanti l'analogia, arrivando alla fine a intravedere non una via d'uscita, perché “incurabile” è il “colore di sangue”, ma un istante di condivisione, quello di un uomo che dall'alto osserva. Ciò che, alla fine, tutti noi inconsciamente speriamo: non essere lasciati soli nella sofferenza.

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Eruzione del Niyragongo © Nova

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LA FRASE DEL GIORNO
Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangano sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.
DINO BUZZATI, Il deserto dei Tartari




Janet Frame (Dunedin, 28 agosto 1924 – 29 gennaio 2004), poetessa e scrittrice neozelandese. La celebrità le derivò dalla sua drammatica storia personale: dopo anni di ricovero psichiatrico, le era stata programmata una lobotomia, annullata quando, pochi giorni prima della procedura, la sua prima pubblicazione di racconti fu inaspettatamente premiata con l'Hubert Church Prose Award. 



lunedì 22 febbraio 2010

Akiko Yosano

Protofemminista, pacifista, riformatrice sociale, poetessa. Questo fu Akiko Yosano, una delle voci più famose e controverse della poesia giapponese nella prima metà del Novecento. Figlia di un ricco mercante di Sakai, nella prefettura di Osaka, nacque nel 1878; iniziò a pubblicare i suoi tanka su Myōjō, rivista letteraria, di cui era editore il suo futuro marito Tekkan Yosano. Il suo poema “Kimi Shinitamou koto nakare” (Tu non morirai), fu musicato e divenne inno di protesta durante la guerra russo-giapponese. Akiko fondò poi una scuola per l’educazione femminile e divenne paladina dei diritti delle donne. Morì a 63 anni nel 1942.

Le poesie di Akiko Yosano sono dei tanka, la forma più antica della poesia giapponese, anteriore agli haiku che vanno tanto di moda adesso. Il tanka consiste in cinque versi formati rispettivamente di 5, 7, 5, 7 e 7 sillabe; la terzina iniziale è chiamata kami-no-ku (frase superiore), il distico finale è detto shimo-no-ku (frase inferiore).



ALCUNI TANKA DI AKIKO YOSANO

Amore o sangue? tutta la primavera è in questa peonia che mi ossessiona, scende la notte, sono sola, sola senza una poesia.

§

Dopo il bagno mi guardo nello specchio, e, osservando il mio corpo, sento che ancora rimane qualcosa di ieri: un certo sorriso...

§

Per punire gli uomini dei loro peccati infiniti Dio mi ha dato questa pelle chiara questi lunghi capelli neri.

§

Che essere umano potrebbe punirmi? Non è il candore del mio braccio, che accolse la sua testa, degno di un dio?

§

Mezzo vestita di una seta leggera dal colore rosso pallido... non pensare male: di' loro che si sta godendo la luna...

§

Colombe dal tetto della pagoda i petali dei ciliegi cadono nel vento di primavera – scriverò la mia canzone sulle loro ali.

§

Via Lattea: a letto, con lui, apro la tenda e guardo come, all’alba, si separano due stelle.

§

Attraverso i pini tanto sulle sue guance che sulle mie la brezza tuttavia a quel punto stranieri i nostri pensieri.

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LA FRASE DEL GIORNO
Se qui adesso / ripenso al percorso / della mia passione / somigliavo a un cieco / senza paura del buio.
AKIKO YOSANO, Midaregami




Akiko Yosano (Sakai, 7 dicembre 1878 – Tokyo, 29 maggio 1942), poetessa giapponese. Profonda conoscitrice della letteratura classica giapponese, manifestò interesse per le nuove correnti letterarie ispirate a modelli occidentali rinnovando uno dei più tradizionali generi poetici grazie a una grande forza immaginativa, tesa all'esaltazione della passione amorosa.


domenica 21 febbraio 2010

Al mercato del cielo


FRANCIS JAMMES

LA BAMBINA LEGGE L’ALMANACCO

La bambina legge l’almanacco accanto al cesto delle uova.
E, oltre ai Santi e al tempo che farà
Può contemplare i bei segni del cielo:
Capricorno, Toro, Ariete, Pesci e gli altri.

Così, può credere, contadinella,
Che sopra di lei, tra le costellazioni,
Ci sono mercati, simili a quello degli asini,
Di tori, arieti, capre e pesci.

È il mercato del Cielo senz’altro quello che legge.
E, quando la pagina arriva al segno della Bilancia,
Si dice che in Cielo come dal droghiere
Si pesano il caffè, il sale, e le coscienze.

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Certo, fa sorridere l’ingenuità di questa contadinella di cento anni fa, paragonata alle smaliziate bambine di oggi. Un altro segno del tempo che passa e che ci trasforma, ci dona coscienza e ci priva sempre prima dell’infanzia. Un bozzetto nel tipico stile di Francis Jammes, poeta francese tra i prediletti di Gozzano, capace di leggere la vita e la natura con un’ottica lirica e religiosa: il richiamo alla coscienza oggi può fare riflettere anche noi, e non è un caso che la lezione ci venga dagli ingenui…

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Antica carta © Icalendrier

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LA FRASE DEL GIORNO
Anche l'ingenuità è vita, anzi, il vero esordio fresco fragrante della vita.
ITALO SVEVO, Corto viaggio sentimentale




Francis Jammes (Tournay, 2 dicembre 1868 – Hasparren, 1º novembre 1938), poeta francese. Dopo una breve adesione al simbolismo, si liberò da ogni tradizione arcadica o scolastica, e interpretò liricamente la vita della natura. Un vivo accento religioso, che non discorda dall'indole delle sue prime ispirazioni, si manifesta nelle opere posteriori al suo ritorno al cattolicesimo.


sabato 20 febbraio 2010

I poeti si divertono: Montale

EUGENIO MONTALE

PIOVE

Piove. È uno stillicidio senza tonfi di motorette o strilli di bambini.

Piove da un cielo che non ha nuvole. Piove sul nulla che si fa in queste ore di sciopero generale.

Piove sulla tua tomba a San Felice a Ema e la terra non trema perché non c'è terremoto né guerra.

Piove non sulla favola bella di lontane stagioni, ma sulla cartella esattoriale, piove sugli ossi di seppia e sulla greppia nazionale.

Piove sulla Gazzetta Ufficiale qui dal balcone aperto, piove sul Parlamento, piove su via Solferino, piove senza che il vento smuova le carte.

Piove in assenza di Ermione se Dio vuole, piove perché l'assenza è universale e se la terra non trema è perché Arcetri a lei non l'ha ordinato.

Piove sui nuovi epistèmi del primate a due piedi, sull'uomo indiato, sul cielo ominizzato, sul ceffo dei teologi in tuta o paludati, piove sul progresso della contestazione, piove sui works in regress, piove sui cipressi malati del cimitero, sgòcciola sulla pubblica opinione.

Piove, ma dove appari non è acqua né atmosfera, piove perché se non sei è solo la mancanza e può affogare.

(da Satura, 1971)

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Anche i grandi poeti, i poeti “laureati” con il Nobel in questo caso, talora amano divertirsi. Abbandonano i loro panni seriosi e si lanciano nel mondo della satira, del divertissement, del nonsense, del gioco di parole. “Piove” è la parodia che Eugenio Montale fa della celebre “Pioggia nel pineto” di Gabriele D’Annunzio: “Ascolta. Piove / dalle nuvole sparse. / Piove su le tamerici / salmastre ed arse, / piove su i pini / scagliosi ed irti, / piove su i mirti / divini, / su le ginestre fulgenti / di fiori accolti, / su i ginepri folti / di coccole aulenti…”

Montale sostituisce alla lista da giardiniere di D’Annunzio una serie di momenti e di fatti e gesti che fanno parte della vita quotidiana del poeta e della nazione: lo sciopero generale, le tasse, la contestazione, le dispute teologiche sull’uomo che diventa Dio, il ricordo della moglie Drusilla Tanzi sepolta a San Felice a Ema. È un Montale compiaciuto di questo divertimento, tanto da ricordare egli stesso la favola di Ermione che appare nell’originale dannunziano ma anche dal lanciarsi apertamente nel calembour del gioco di parole tra “progresso” e “works in regress”, nella satira sui teologi in tuta. Grande anche nella parodia.


Fotografia © Arthur Leipzig

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LA FRASE DEL GIORNO
È difficile non scrivere satire!
GIOVENALE, Satire




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

venerdì 19 febbraio 2010

Un organetto suona


OLINDO GUERRINI

UN ORGANETTO SUONA PER LA VIA

Un organetto suona per la via,
la mia finestra è aperta e vien la sera,
sale dai campi alla stanzuccia mia
un alito gentil di primavera.

Non so perché mi tremino i ginocchi,
non so perché mi salga il pianto agli occhi.
Ecco, io chino la testa in sulla mano,
e penso a te che sei così lontano.

(da Postuma, 1877)

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Popolare e populista, Olindo Guerrini, poeta forlivese, seppe cogliere i sentimenti del popolo e cavalcare l’onda della situazione socio-politica del suo tempo: nella sua poesia prevalgono, con un estremismo che talvolta appare artificiale, la polemica e l’impegno contro l’opportunismo letterario, il clericalismo, l’ingiustizia padronale, il colonialismo, il trasformismo… un po’ tutto, insomma. Ma, come un Dottor Jekyll e un Mister Hyde, all’enfasi polemica antiborghese affianca bozzetti impressionistici come questo, dove i toni si smorzano e l’attenzione si posa sulla realtà impoetica: allora Guerrini si trasforma in poeta crepuscolare.

Il protagonista di questa poesia è un sentimento, un “non so che” scatenato dalla musica vile e popolare di un organetto di strada – e qui Guerrini, lettore di Verlaine e Laforgue, anticipa una figura tipica dei Crepuscolari, che sarà fondamentale in Corazzini e apparirà in Gozzano e Moretti. Da quel motivo d’organetto sorge un’emozione immotivata, una malinconia del vivere, che assomma l’aria nuova di primavera, il cadere della sera, la nostalgia per un amico lontano…

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Mark Rosenbohm, "Organetto cajun"

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LA FRASE DEL GIORNO
La mente si lascia sempre abbindolare dal cuore.
FRANÇOIS DE LA ROCHEFOUCAULD, Massime




Olindo Guerrini, noto anche con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti e con altri nomi d'arte (Forlì, 4 ottobre 1845 – Bologna, 21 ottobre 1916), poeta e scrittore italiano, esponente della poesia realista di epoca positivista si dedicò alla lirica intimista, alla poesia dialettale e satirica tra Decadentismo e Scapigliatura.


giovedì 18 febbraio 2010

Elogio dell’aforisma

“Un aforisma benfatto sta tutto in otto parole”. Questo è di Gesualdo Bufalino, da “Bluff di parole”, ed è una simpatica autocelebrazione dello scrittore siciliano. Contiamo le parole: sono davvero otto. In effetti, questo è il succo dell’aforisma: la brevità, la sua capacità di condensare in un così breve spazio l’enormità di un concetto che richiederebbe paragrafi su paragrafi, pagine su pagine. La sua forza è proprio in questo vestito che copre l’enunciato, che sia paradossale, satirico, dissacratorio, gnomico o serio.

Otto parole forse no, ve ne sono di fantastici con qualche parola in meno o qualcuna in più. Ma tutti possiedono quella caratteristica che fa di una semplice frase un aforisma, un fiorellino pregiato che si può nascondere in un prato di parole qual è un romanzo, una poesia o un articolo di giornale: la capacità di fulminare il lettore, di sorprenderlo piacevolmente e costringerlo a pensare. Aforisma è una parola di chiara etimologia greca: αφορίσμος significa “definizione” e deriva dal verbo αφορίζειν, “delimitare”. Ecco, mi piace immaginare che questo sia l’aforisma: un pezzettino di sapere che il talento dell’autore delimita con il suo recinto nella sconfinata distesa del sapere.

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KARL KRAUS

Non si vive neppure una volta.

Una delle malattie più diffuse è la diagnosi.

La bruttezza del presente ha valore retroattivo.

Lo scandalo comincia quando la polizia vi mette fine.

Nulla è più insondabile della superficialità della donna.

La gelosia è un abbaiare di cani che attira i ladri.

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GESUALDO BUFALINO

La felicità esiste, ne ho sentito parlare.

La verità è plurale, è la menzogna che è singola.

Tutti al mondo sono poeti, perfino i poeti.

Ci vogliono virtù a iosa per fare un vizio.

Uno sciocco che tace è la creatura più adorabile del mondo.

L’universo: un acrostico dove cerco di leggere Dio.


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ENNIO FLAIANO

In amore gli scritti volano e le parole restano.

La libertà rende ciechi coloro che vuol perdere.

Si battono per l’Idea, non avendone.

L’amore è una cosa troppo importante per lasciarlo fare agli amanti.

Vivere è diventato un esercizio burocratico.

Per molti l’italiana non è una nazionalità, ma una professione.

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ALPHONSE KARR

La vanità è la schiuma dell’orgoglio.

Gli uomini fanno le leggi, le donne le abrogano.

Una donna è meglio farla arrossire che farla ridere.

La donna per l’uomo è uno scopo, l’uomo per la donna un mezzo.

Gli apostoli diventano rari, tutti sono padreterni.

La lettura, deliziosa assenza della vita e di se stessi!

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OSCAR WILDE

La donna: una sfinge senza segreti.

L’arte è un velo, più che uno specchio.

La falsità è la verità degli altri.

Sono solo i superficiali a non giudicare dalle apparenze.

L’unico modo di liberarsi da una tentazione è cedervi.

La puntualità ruba il tempo.


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LA FRASE DEL GIORNO
Odio le cattive massime più delle cattive azioni.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Emilio





Karl Kraus (Jičín, 28 aprile 1874 – Vienna, 12 giugno 1936), scrittore, giornalista, aforista, umorista, saggista, commediografo, poeta e autore satirico austriaco. È noto specialmente per le sue critiche altamente ironiche e taglienti alla cultura, alla società, ai politici tedeschi e ai mass media.


Gesualdo Bufalino (Comiso, 15 novembre 1920 – Vittoria, 14 giugno 1996), scrittore, poeta e aforista italiano. Insegnante, si rivelò tardi alla letteratura pubblicando nel 1981 Diceria dell'untore, con cui vinse il Premio Campiello. Con il romanzo Le menzogne della notte vinse nel 1988 il Premio Strega. Il suo stile ricercato, ricco e  "anticheggiante" gli deriva dall’abilità linguistica e da una vasta cultura.


mercoledì 17 febbraio 2010

Della vergogna

La vergogna è il turbamento causato dal pensiero del disonore, un sentimento che va dal senso di colpa all’imbarazzo causato dal pudore violato. Be’, se guardiamo certi comportamenti in televisione, sulle spiagge, in discoteca, in città… praticamente ovunque, sembra che di vergogna non ce ne sia poi in giro molta. Eppure dovrebbe essere un sentimento innato, senza raggiungere gli eccessi di Virginia (nomen omen) che non si lascia salvare dall’annegamento per non mostrarsi nuda ai soccorritori: “Un marinaio nudo / tenta svestirla e seco darsi all’onda; / si rifiuta Virginia pudibonda” recitano i versi di Guido Gozzano.

Vergognarsi è in un certo modo ammettere di avere sbagliato, considerare di avere violato la morale, l’etica, il diritto naturale: “I rei di qualche misfatto non sono mai spregevoli come quando non se ne vergognano e quindi non se ne scolpano” dice il commediografo latino Plauto nell’Aulularia. I suicidi succeduti alle indagini di “Mani pulite” nei primi Anni ‘90 fanno parte di questo filone, le fughe ad Hammamet no… Del resto, come recita un celebre aforisma tratto da “Uomo e superuomo” di George Bernard Shaw,“Una persona è tanto più rispettabile quante più sono le cose di cui si vergogna”.

E come si manifesta la vergogna? Attraverso il rossore, lo sguardo basso, gli occhi fuggevoli, talvolta le lacrime: sono sintomi di un malessere, di una situazione in cui non ci si trova a proprio agio. “Bello è il rossore, ma è incommodo qualche volta” è una battuta di una commedia di Carlo Goldoni, “La Pamela”. E ci ammonisce Jean-Jacques Rousseau nell’Emilio: “Chi arrossisce è già colpevole; la vera innocenza non ha paura di nulla”. Sono parole del Settecento e sembrano alquanto datate a noi che viviamo in questo XXI secolo, avvezzi a politici dalla faccia di bronzo, ai “senza vergogna” del “Grande Fratello”, di “Striscia la notizia”, delle “Iene”, dell’”Isola dei famosi”, alle ballerine scosciate dei giochi a quiz, alle presentatrici con minigonna inguinale e décolleté ombelicale…

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Henri Vidal, "Caino dopo aver ucciso suo fratello Abele"


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LA FRASE DEL GIORNO
Provo vergogna, quindi esisto.
VLADIMIR S. SOLOV’ËV, La giustificazione del bene

martedì 16 febbraio 2010

Nel groviglio delle stelle filanti

EUGENIO MONTALE

CARNEVALE DI GERTI


Se la ruota s'impiglia nel groviglio
delle stelle filanti ed il cavallo
s'impenna tra la calca, se ti nevica
sui capelli e le mani un lungo brivido
d'iridi trascorrenti o alzano i bimbi
le flebili ocarine che salutano
il tuo viaggio ed i lievi echi si sfaldano
giù dal ponte sul fiume,
se si sfolla la strada e ti conduce
in un mondo soffiato entro una tremula
bolla d'aria e di luce dove il sole
saluta la tua grazia - hai ritrovato
forse la strada che tentò un istante
il piombo fuso a mezzanotte quando
finì l'anno tranquillo senza spari.


Ed ora vuoi sostare dove un filtro
fa spogli i suoni
e ne deriva i sorridenti ed acri
fumi che ti compongono il domani:
ora chiedi il paese dove gli onagri
mordano quadri di zucchero alle tue mani
e i tozzi alberi spuntino germogli
miracolosi al becco dei pavoni.


(Oh il tuo Carnevale sarà più triste
stanotte anche del mio, chiusa fra i doni
tu per gli assenti: carri dalle tinte
di rosolio, fantocci ed archibugi,
palle di gomma, arnesi da cucina
lillipuziani: l'urna li segnava
a ognuno dei lontani amici l'ora
che il Gennaio si schiuse e nel silenzio
si compì il sortilegio. È Carnevale
o il Dicembre s'indugia ancora? Penso
che se tu muovi la lancetta al piccolo
orologio che rechi al polso, tutto
arretrerà dentro un disfatto prisma
babelico di forme e di colori...)


E il Natale verrà e il giorno dell'Anno
che sfolla le caserme e ti riporta
gli amici spersi, e questo Carnevale
pur esso tornerà che ora ci sfugge
tra i muri che si fendono già. Chiedi
tu di fermare il tempo sul paese
che attorno si dilata? Le grandi ali
screziate ti sfiorano, le logge
sospingono all'aperto esili bambole
bionde, vive, le pale dei mulini
rotano fisse sulle pozze garrule.
Chiedi di trattenere le campane
d'argento sopra il borgo e il suono rauco
delle colombe? Chiedi tu i mattini
trepidi delle tue prode lontane?


Come tutto si fa strano e difficile,
come tutto è impossibile, tu dici.
La tua vita è quaggiù dove rimbombano
le ruote dei carriaggi senza posa
e nulla torna se non forse in questi
disguidi del possibile. Ritorna
là fra i morti balocchi ove è negato
pur morire; e col tempo che ti batte
al polso e all'esistenza ti ridona,
tra le mura pesanti che non s'aprono
al gorgo degli umani affaticato,
torna alla via dove con te intristisco,
quella che additò un piombo raggelato
alle mie, alle tue sere:
torna alle primavere che non fioriscono.


(da Le occasioni, 1928)
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“Le occasioni” sono per Eugenio Montale i momenti fatali della vita, quelli in cui, pur nella parvenza della quotidianità, nel suo dimesso esprimersi, si può intravedere per un istante il balenare lontano di una realtà diversa, afferrare un senso che ci riscatti dall’effimero, che ci consenta di cogliere un lembo d’eterno. Uno di questi è raccontato in “Carnevale di Gerti”, poesia del 1928. Gerti è uno dei nomi entrati nella mitologia di Montale, con Dora Markus, Liuba, Clizia, Aretusa.

Gertrude Frankl era un’ebrea austriaca nata a Graz nel 1902: pianista, operatore cinematografico per Fritz Lang, fotografa, donna affascinante. Per tutti “Gerti”, con la “g” dura alla tedesca. Era venuta in Italia nel 1925, sposa di un ingegnere triestino, si stabilì a Trieste e poi a Firenze. Aveva rinunciato al cinema, al piano e alla religione ebraica, ma non alla fotografia e alla vita letteraria: nella città giuliana divenne amica di Italo Svevo, Umberto Saba, Giani Stuparich e di Bobi Bazlen. A Firenze, dove si era trasferita per restare vicino al marito, militare a Lucca, trovò alloggio presso i Marangoni: il critico Matteo e la moglie Drusilla Tanzi, futura compagna di Montale. In quella casa c’era anche Eugenio, ospite in un’ala defilata della villa. Tutti furono affascinati da quella donna che veniva dall’Austria e parlava di Freud e di psicanalisi. La notte di San Silvestro, mentre si passava al 1928, propose un gioco che si faceva in Carinzia: buttare piombo fuso nell’acqua e trarne l’oroscopo per l’avvenire in base alle forme che ne sarebbero uscite. Montale ne fu colpito, lo intrigava quel mondo soffiato come in una bolla di vetro, quel paese di sogno dove gli asini mangiano zucchero dalle mani e i pavoni sfoggiano le loro ruote, quel paese dove ora Gerti si trova in un Carnevale di carri e stelle filanti. Ricorda, la invita il poeta, riavvolgi il tempo, fai arretrare le lancette dell’orologio: ritornerà Capodanno, ritornerà Natale, ritornerà dicembre; ripercorri i giorni trascorsi con me, avventurati nei “disguidi del possibile”…

Quando tornò a Trieste, Gerti si trovò a ospitare un’amica, ebrea viennese come lei. Le scattò alcune foto e una finì nelle mani di Bobi Bazlen e poi in quelle di Montale: l’amica di Gerti si chiamava Dora Markus. Ma questa è un’altra poesia…

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Carolyn Hubbard-Ford, “Carnival mask I”

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LA FRASE DEL GIORNO
L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi. Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.
EUGENIO MONTALE, La farfalla di Dinard




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

lunedì 15 febbraio 2010

Marino Moretti nel grigio


MARINO MORETTI

A CESENA


Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
ospite della mia sorella sposa,
sposa da sei, da sette mesi appena.

Batte la pioggia il grigio borgo, lava
la faccia della casa senza posa,
schiuma a piè delle gronde come bava.

Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
triste è per te la pioggia cittadina,
il nuovo amore che non ti soccorse,

il sogno che non ti avvizzì, sorella
che guardi me con occhio che s'ostina
a dirmi bella la tua vita, bella,

bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora,
o sposa, io vedo tuo marito, sento,
oggi, a chi dici mamma, a una signora;

so che quell'uomo è il suocero dabbene
che dopo il lauto pasto è sonnolente,
il babbo che ti vuole un po' di bene...

«Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
ch'io sia gentile, vuoi ch'io le sorrida,
che le parli dei miei vïaggi, poi...

poi quando siamo soli (oh come piove!)
mi dici rauca di non so che sfida
corsa tra voi; e dici, dici dove,

quando, come, perché; ripeti ancora
quando, come, perché; chiedi consiglio
con un sorriso non più tuo, di nuora.

Parli d'una cognata quasi avara
che viene spesso per casa col figlio
e non sai se temerla o averla cara;

parli del nonno ch'è quasi al tramonto,
il nonno ricco, del tuo Dino, e dici:
«Vedrai, vedrai se lo terrò di conto»;

parli della città, delle signore
che già conosci, di giorni felici,
di libertà, d'amor proprio, d'amore.

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena,
sono a Cesena e mia sorella è qui
tutta d'un uomo ch'io conosco appena.

tra nuova gente, nuove cure, nuove
tristezze, e a me parla... così,
senza dolcezza, mentre piove o spiove:

«La mamma nostra t'avrà detto che...
E poi si vede, ora si vede, e come!
sì, sono incinta... Troppo presto, ahimè!

Sai che non voglio balia? che ho speranza
d'allattarlo da me? Cerchiamo un nome...
Ho fortuna, è una buona gravidanza...».

Ancora parli, ancora parli, e guardi
le cose intorno. Piove. S'avvicina
l'ombra grigiastra. Suona l'ora. È tardi.

E l'anno scorso eri così bambina!

(da Poesie scritte col lapis, 1910)
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Grigio borgo. Basta questa descrizione a definire l’atmosfera che avvolge questa poesia e che la definisce tutta nel suo crepuscolare dipanarsi. E crepuscolare era Marino Moretti, ma a differenza di altri esponenti della corrente fin de siècle non ironizza sul mondo provinciale e piccolo-borghese che descrive: la casa dove la sorella sposata si è trasferita e dove ora è in visita. E neppure ne fa un altare come il buon rifugio di Gozzano. Ne è assolutamente estraneo: la mediocrità e la monotonia di quella vita non gli appartengono, così come non gli appartengono le beghe tra nuora e suocera, le questioni di interesse, la routine matrimoniale di quelle creature vinte, di quegli esseri umbratili.
E quel grigiore, rimarcato ancora nel penultimo verso, è ben simboleggiato anche dallo stile, volutamente piatto e discorsivo, magistralmente reso da Moretti con le frequenti cesure e gli enjambements (l’andare a capo che spezza l’unità del discorso) che spezzano l’endecasillabo.


Fotografia © Cesena di una volta

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LA FRASE DEL GIORNO
Prima di dover subire la vita, bisognerebbe farsi narcotizzare.
KARL KRAUS, Detti e contraddetti




Marino Moretti (Cesenatico, 18 luglio 1885 – 6 luglio 1979), poeta, romanziere e drammaturgo italiano. Nell’ambito del crepuscolarismo descrive vicende semplici ambientate nella provincia romagnola, con personaggi dimessi come il suo stile, che talvolta lascia balenare vene di umorismo.


domenica 14 febbraio 2010

Amore surrealista

San Valentino. Il giorno degli innamorati… Ho scelto qualche poesia d’amore surrealista per celebrare questa festa consumistica che sa di rose e di cioccolatini. Un amore particolare, unico, esclusivo, in grado di portare alla felicità. Un amour fou dove la donna è fiore, frutto, fata e strega, ma soprattutto è la sacra garante dell’amore e delle sue meraviglie, la sacerdotessa che rende possibile realizzare la “vera vita”.

 

PHILIPPE SOUPAULT

DILETTA

La donna che amo non sa far la maglia
sa sognare sognare sognare
e i suoi sogni son nubi di lana
gonfie di variopinta speranza
che il crepuscolo richiama

Sa stirare a meraviglia
le meraviglie rosse e blu
tutto quanto è crepuscolo e miracolo
per l'erbario dei ricordi
e le lunghe serate d'inverno

La donna che amo sa amare
ciò che pesa come il dolore
è duro come il domani
e inquieta come i giorni di festa
quando tutto è meglio del peggio

(da Poesie inedite - Traduzione di Paola Dècina Lombardi)

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Man Ray, “Blanc et noir”, 1936

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ANDRÉ SOURIS

GALLERIE SAINT-HUBERT, XIV

Continua meraviglia
arcobaleno delle mie notti
fiume fiore carezza
innocente incantata
eco dei mie sguardi
felice lago dei miei sogni
docile innamorata
nube di primavera
maliarda che arrossisce
abbagliata senza rammarico
liana profumata
infiorescenza mattutina
tutto il mio amore

_______nell'universo del tuo amore

(da Gallerie Saint-Hubert - Traduzione di Paola Dècina Lombardi)

 

 

Man Ray, “Le violon d’Ingres”, 1924

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RENÉ CHAR e ANDRÉ BRETON

A PROPOSITO DELL’AMORE

Ti seppellirò nella sabbia
Perché ti liberi la marea

La libertà per l'ombra

Ti farò asciugare al sole
Dei tuoi capelli dove cade in trappola la fenice.

La libertà per la preda

(da Ralentir les travaux, 1930 - trad. Paola Dècina Lombardi)
* I primi tre versi sono di Char, gli altri tre di Breton

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Réné Magritte, “Gli amanti”

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LA FRASE DEL GIORNO
Il passaggio dall’idea di amore al fatto di amare è l’evento in cui un essere apparso nella realtà impone la sua esistenza in modo da farsi amare e seguire nella luce come nelle tenebre.
RENÉ MAGRITTE, La Révolution surréaliste, n. 12, 15 dicembre 1929




Philippe Soupault
(Chaville, 2 agosto 1897 – Parigi, 12 marzo 1990), scrittore e saggista francese. Entrato in contatto con Apollinaire, fu tra i fondatori della rivista Littérature (1919); aderì al dadaismo e poi al surrealismo, le cui origini possono ricercarsi nei suoi esperimenti di scrittura automatica.


André Souris (Marchienne-au-Pont, 10 luglio 1899 – Parigi, 12 febbraio 1970), musicista belga. Ha fatto parte della corrente artistica del Surrealismo belga. Studiò al conservatorio di Bruxelles. Compositore inizialmente d'ispirazione stravinskiana, adottò in seguito la tecnica dodecafonica.


René Char (L'Isle-sur-la-Sorgue, 14 giugno 1907 – Parigi, 19 febbraio 1988) è stato un poeta francese. Aderì formalmente al movimento surrealista, ma ne rimase in effetti distaccato assumendo anche atteggiamenti critici. La rarefazione del linguaggio poetico esprime una profonda e impegnata ricerca umana, che fa della sua lirica uno dei più alti esempi d'invito a una fraternità che nulla esclude.


André Robert Breton
(Tinchebray, 19 febbraio 1896 – Parigi, 28 settembre 1966), poeta, saggista e critico d'arte francese. Noto come poeta e teorico del surrealismo, che favorì con la stesura dei manifesti e curando riviste, mostre e incontri, fu allievo del filosofo André Cresson.