lunedì 30 aprile 2012

La gloria del fiore


MARIA LUISA SPAZIANI

UNA BARCHETTA PAZZA


Il primo verso è una barchetta pazza
che potrebbe arenarsi fra gli scogli.
È un ragazzino zingaro, ti prende
per mano verso un viaggio sconosciuto.
E solo al quinto verso tu cominci
a capire qualcosa, se lo segui.
Confusamente dice: nel germoglio
è già scritta la gloria del fiore.


(da I fasti dell’ortica, Mondadori, 1996)

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“Vi sono persone molto intelligenti che rimangono inerti di fronte alla poesia: vogliono sapere prima di tutto «che cosa vuol dire», e già una richiesta così formulata rivela che non possono capire perché non si abbandonano; e poi non ne vedono l'utilizzazione immediata, cioè non si divertono, non sanno come va a finire la storia” raccontava Maria Luisa Spaziani in un’intervista alla rivista Fermenti nel 1977. Questi versi testimoniano invece la bellezza di abbandonarsi a una poesia senza sapere dove ci condurrà, lasciarsi trasportare dalla sua musicalità come su una barchetta sulle onde del mare.

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ANJOLIE YORK, “LITTLE RED BOAT”
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LA FRASE DEL GIORNO
La poesia non dà frutti immediati: al contrario, i suoi frutti sono assai lenti e difficili da cogliere, e infatti la poesia che piace immediatamente è spesso quella meno valida. Mentre il romanzo è tutto sopra l'acqua, della poesia si vede soltanto la punta dell'iceberg. Il gioco sta nello scoprire quello che c'è sotto.

MARIA LUISA SPAZIANI, intervista a Fermenti n. 6/8, giugno-agosto 1977



Maria Luisa Spaziani (Torino, 7 dicembre 1922), poetessa italiana formatasi nel clima postermetico di chiara ascendenza montaliana. La sua poesia è venuta via via distendendosi dal mottetto o epigramma a forme narrativo-discorsive.


domenica 29 aprile 2012

Fiori, ali, smeraldi



ARTURO ONOFRI

SCIROCCO


Scirocco, fermo come una barriera
d'ansia, cela all'inverno moribondo
la fanciullezza della primavera
che soffierà miracoli sul mondo.
Il suolo ansa in affanni di miniera,
a svincolarsi dal suo denso pondo:
non luminosità d'erba leggera,
ma brama d'alzar cieli suoi dal fondo.
E nubi immote covano quel turno
d'oro, in cui la vegliante ansia sepolta
possa esalarsi in sonno taciturno,
ridilatando aperta in cieli caldi
l'anima fanciulletta dissepolta,
che già si pensa fiori, ali, smeraldi.


(da Zolla ritorna cosmo, 1927)

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Scirocco, il vento caldo del Mediterraneo che soffia da sud-est e diventa umido strada facendo dai deserti del Sahara alle coste europee attraversando i mari. “Rabido ventare di scirocco che l’arsiccio gialloverde bruci” dice Montale: è vento che sa d’estate e giunge a risollevare gli animi provati dall’inverno. Nel suo odoroso soffio il poeta metafisico romano Arturo Onofri ravvisa la liberazione, l’uscita dal letargo invernale come di una farfalla che si spogli della sua crisalide per volare finalmente leggera nei cieli azzurri.

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ELABORAZIONE GRAFICA © DANIELE RIVA
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LA FRASE DEL GIORNO
O Terra, o Madre, fa’ ch'io più non riesca a pensare / ma ch'io viva soltanto; viva come, d'agosto, / i nidi delle rondini partite verso il mare.

ARTURO ONOFRI, Canti delle oasi



Arturo Onofri (Roma, 15 settembre 1885 – 25 dicembre 1928), poeta e scrittore italiano, tra i massimi poeti metafisici del Novecento. Aderì al Frammentismo, che costruisce le opere per mezzo di eventi slegati: i suoi versi prosastici fanno da contraltare alle prose abbellite da un’illuminazione lirica. La sua opera fu influenzata dall’incontro con Rudolf Steiner.


sabato 28 aprile 2012

Non esiste il tempo

 

JOAN BROSSA

AMORE

Amore,
in questa poesia
non esiste il tempo:
l’intero corso dell’Universo
si verifica in questo momento.

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Una deliziosa scatola a sorpresa questa poesia del catalano Joan Brossa, artista plastico, drammaturgo ed esponente della poesia visuale: in effetti vive soltanto dell’assunto che il tempo non esista e quindi che ab absurdo ogni cosa sia concentrata nei cinque brevi versi. Ossessione quella del tempo tutta occidentale, forse dettata dai ritmi di vita più serrati che altrove. Brossa lascia intendere quello che Fëdor Dostoevskij fa dire a Kirillof nei Demoni: “Nell'Apocalisse l'angelo giura che il tempo non esisterà più. È molto giusto, preciso, esatto. Quando tutto l'uomo raggiungerà la felicità, il tempo non esisterà più, perché non ce ne sarà più bisogno. È un'idea giustissima. Dove lo nasconderanno? Non lo nasconderanno in nessun posto. Il tempo non è un oggetto, è un'idea. Si spegnerà nella mente”.

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JOAN BROSSA, “EL RELOJ”

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LA FRASE DEL GIORNO
Che cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più.
SANT’AGOSTINO, Confessioni




Joan Brossa i Cuervo (Barcellona, 19 gennaio 1919 – 30 dicembre 1998), poeta, drammaturgo, artista plastico e designer grafico catalano. È ritenuto il massimo esponente della poesia visiva non solo della letteratura catalana, ma il pioniere di questo genere in Spagna e uno dei grandi riferimenti internazionali.


venerdì 27 aprile 2012

Il regista è occupato

 

EUGENIO MONTALE

GÖTTERDÄMMERUNG

Si legge che il crepuscolo degli Dei
stia per incominciare. È un errore.
Gli inizi sono sempre inconoscibili,
se si accerta un qualcosa, quello è già
trafitto dallo spillo.
Il crepuscolo è nato quando l’uomo
si è creduto più degno di una talpa o di un grillo.
L’inferno che si ripete è appena l’anteprova
di una ‘prima assoluta’ da tempo rimandata
perché il regista è occupato, è malato, imbucato
chissà dove e nessuno può sostituirlo.

(da Satura, 1970)

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Scrive bene Giorgio Zampa nell’introduzione al volume che raccoglie tutte le poesie di Eugenio Montale: “Satura è il libro dell’Attesa, scritto da un lirico che guarda a se stesso come da un altro pianeta e alla propria poesia, alle figurazioni, ai motivi di questa come a realtà in mezzo ad altre. Sotto il segno dell’Attesa tutto assume carattere escatologico, rientra tra le Grandi Questioni”. Così, Montale, ormai settantenne, si abbandona sempre più spesso a considerare il mondo da un punto di vista diverso, alleggerito, disincantato da una vena ironica nella voce e nello sguardo – anche il Dio Creatore, anche il destino ultimo dell’uomo e del cosmo, persino la sua fine restano impelagati in questa palude dove tutti annaspano, visto che “Il tempo non conclude / perché non è neppure incominciato. / È neonato anche Dio”.

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ARTUR RACKHAM, “LE NORME TESSONO IL FILO DEL DESTINO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Attendo con la fiducia di non sapere / perché chi sa dimentica persino / di essere stato in vita.
EUGENIO MONTALE, Satura




Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981), poeta e scrittore italiano, Gli fu conferito il Premio Nobel per la Letteratura nel 1975 “per la sua poetica distinta che, con grande sensibilità artistica, ha interpretato i valori umani sotto il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”, ovvero la “teologia negativa” in cui il "male di vivere"  si esprime attraverso la corrosione dell'Io lirico tradizionale e del suo linguaggio.

giovedì 26 aprile 2012

Colmi interstizi del tempo

 

RAINER MARIA RILKE

SONETTI A ORFEO, II,III

Specchi: mai ancora nessuno ha descritto
sapendo quale sia la vostra essenza.
Voi come fitti di fori i crivelli
colmi interstizi del tempo.

Voi che dissipate il vuoto della sala
al tramonto, come boschi, sconfinati...
E cervo ramoso il lampadario attraversa
il vostro varco impenetrabile.

Talvolta siete colmi di pitture.
E pare che alcune trapassino
in
voi,
altre le respingete con timore.

Ma la più bella resterà. Fin quando
nelle sue guance non dischiuse
penetri il chiaro dissolto Narciso.

(da Sonetti a Orfeo, 1922 – Traduzione di Massimo Bacigalupo)

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Gli specchi entrano spesso nelle poesie e nella letteratura. Memorabile Jorge Luis Borges che in Finzioni scrisse: “Debbo la scoperta di Uqbar alla congiunzione di uno specchio e di un'enciclopedia. Lo specchio inquietava il fondo d'un corridoio in una villa di via Gaona. (…) Scoprimmo (a notte alta questa scoperta è inevitabile) che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Bioy Casares ricordò allora che uno degli eresiarchi di Uqbar aveva giudicato che gli specchi, e la copula, sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini”. Abbiamo incontrato un paio di mesi lo specchio che rifletteva Sylvia Plath e la sua enorme inquietudine e ancora prima lo specchio dell’amata, invidiato da Fabio Fiallo. Ora è la volta di un grande del Novecento, il poeta tedesco Rainer Maria Rilke, interprete della spiritualità del mondo e dell’immanenza: mirabile l’immagine del lampadario-cervo – e chi ha visto quei grandi lampadari fatti con le corna nelle case di montagna o della Mitteleuropa potrà apprezzarla ancora di più.

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HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC, “AUTORITRATTO 1880”

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LA FRASE DEL GIORNO
Lo specchio non capta altro se non altri specchi, e questo infinito riflettere è il vuoto stesso, (che, lo si sa, è la forma)
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ROLAND BARTHES, L’impero dei segni




René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke, noto come Rainer Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Les Planches, 29 dicembre 1926), scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema. È celebre soprattutto per le Elegie duinesi  i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge. La sua poesia, influenzata da Nietzsche, vede una realtà senza consolazioni.


mercoledì 25 aprile 2012

La nuova storia


ROBERTO ROVERSI

IL TEDESCO IMPERATORE
X. La piazza è in festa

Carri armati posano
sotto gli alberi, i negri
ridono, stendono le mani,
la gente nelle vie,
tutte le finestre al sole.
Giorno sacro d'aprile. Alti vocianti
feroci uomini nuovi.
“È finita la guerra”, questo
il popolo grida; gli anni si frantumano,
un mondo nuovo affiora ribollendo
dalle schiuma aspra del dolore.
La piazza bianca di calce, bianca nell'aria d'aprile,
tacque; un uomo apparve sul palco,
parlò poche parole aprendo
la nuova storia.

(da Dopo Campoformio. Poemetti, Feltrinelli, 1962)

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Non ci sono parole da aggiungere a questa poesia: l’ho scelta per rappresentare quell’aria nuova che si respirò in Italia a partire dal 25 aprile 1945. La Liberazione, la fine della guerra, del fascismo, degli anni difficili. La consapevolezza che comunque le cose sarebbero state ancora non facili, che c’era da rimboccarsi le maniche e ricostruire, che bisognava conquistarsi il futuro, ma in libertà e democrazia. Ne uscirà “un’Italia rotta e adirata che ancora insiste / e resiste […] e non è splendente ma / grigia, non celeste ma nera, struggente come una brace” come scrisse Roberto Roversi, autore dei versi, giovane partigiano e poi fondatore con Pasolini e Leonetti di Officina.

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LIBERAZIONE DI BOLOGNA © PUBBLICO DOMINIO

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LA FRASE DEL GIORNO
Tu non sai le colline / dove si è sparso il sangue. / Tutti quanti fuggimmo / tutti quanti gettammo / l'arma e il nome.
CESARE PAVESE, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi




Roberto Roversi (Bologna, 28 gennaio 1923 – 14 settembre 2012), scrittore, poeta e giornalista italiano. Marxista, gestore della libreria Palmaverde, fondò e diresse le riviste Officina e Rendiconti. Fu paroliere per Lucio Dalla, con il quale pubblicò tre album.


martedì 24 aprile 2012

Il mio mestiere


JENARO TALENS

ESERCIZIO SU TRASPARENZE


Il mio mestiere è quello di divagare sulle cose,
dar spazio all’invisibile
che attraversa così altezzose mura.

Guardare quegli alberi da me eretti,
o forse solo la radice o l’eco
di un albero sfumato che la luce ulcera.
Apprezzamenti vaghi con cui arredo un ordine
che nulla spera di albergare. Potesse la mia voce
viver con ignoranza nell’indefinitezza.

Il mio mestiere è la stranezza:
vedere quest’azzurro che nasce con il giorno.


(da Prossimità del silenzio, 1981 - Traduzione di Gloria Bazzocchi)

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La parola che si fa analisi, che diventa strumento per indagare nell’io, per valutare l’esperienza metafisica e rapportarla con il reale. Questo è l’esercizio abituale dei poeti e lo è in maniera particolare in questi versi del filologo e traduttore spagnolo Jenaro Talens: una dichiarazione poetica che è anche dichiarazione di vita, perché inscindibile è il rapporto tra vita e poesia. Per questo il “mestiere” di Jenaro Talens e di ogni poeta è semplicemente la meraviglia davanti alle cose, lo stupore di vedere quello che altri occhi non riescono a scorgere: il balenare della poesia.

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FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA
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LA FRASE DEL GIORNO
Lascio fede solo del mio mestiere / perché fu il mestiere a dettare i versi / e non la piccola vita vissuta, / né il suo dolore, né la sua pochezza.
JENARO TALENS, Lo sguardo straniero



Jenaro Talens (Tarifa, 14 gennaio 1946), poeta, saggista e traduttore spagnolo. La sua prima produzione, fortemente intellettualistica, è segnata dalla riflessione sulla natura della poesia e sul suo rapporto con la realtà; in seguito la sua opera si è aperta a toni più realistici e soggettivi.


lunedì 23 aprile 2012

Una farfalla


HERMANN HESSE

FARFALLA AZZURRA

Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d'un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.


La leggerezza è il pregio di questa poesia del Premio Nobel Hermann Hesse, celebre come romanziere soprattutto per Siddharta, ma abile autore di versi. Hesse ha saputo trasfondere alla lirica proprio la caratteristica della sua piccola protagonista, una tremula debole farfalla che sembra fragile vetro pronto a spezzarsi al primo alito di vento. Come l’insetto, che ha vita breve, da qualche giorno a un mese, così sembra essere la nostra felicità dice Hesse: ma il suo sfavillare, per quanto effimero, è in grado di valere una vita.

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FOTOGRAFIA © M. BAKER

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LA FRASE DEL GIORNO
Così nascono, preziosa e fugace schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d'arte nelle quali un uomo che soffre si innalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare a chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità
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HERMANN HESSE, Il lupo della steppa




domenica 22 aprile 2012

Tre poesie di Jorge Riechmann

 

JORGE RIECHMANN

ELOGIO DELLA DORMIENTE

Giacere sveglio al tuo fianco
nel profondo rifugio del tuo sogno.

A faccia in giù, respiri
un canto della terra
che non ricorderai al risveglio.

Misuro il mio essere su questo canto.

(da Il taglio sotto la pelle, 1994)

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SUCCINTA LODE DELL’INNAMORATA

Ogni volta che mi guardi
nasco nei tuoi occhi.

(da il taglio sotto la pelle, 1994)

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AMORI IMMAGINARI

1

Siamo venuti a festeggiare.
La festa di due corpi e un’ombra.
Due corpi strappati alle radici
e la linfa amara della tua vulva dolce
battezza il mio tradimento.

2

La tua voce è qui, ma tu non sei qui.
Ci sono i tuoi occhi, ma tu non ci sei.
C’è il tuo corpo, tu no.
Come un albero sradicato,
come un orecchio staccato,
come una barchetta scolpita nella corteccia di pino
che si perde nel ruscello dell’infanzia.

3

Incredibile caso
di una moneta non truccata
che cada sempre sulla stessa faccia
ma vivere è questo.
Inspirazione creare un codice
ed espirazione frantumarlo. Non continuare a lanciare questa moneta.

Fa buio alle quattro di pomeriggio
il cielo sconfessa tutti gli specchi
e sa che ti ho perduta.

(da Amarti senza ritorno, 1995)

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Tre poesie d’amore di Jorge Riechmann: raffigurano tanti modi d’essere e di amare – anche nella stessa persona, addirittura nella stessa coppia, nello stesso amore. La gioia della condivisione, la necessità di essere in due, di trovare un complemento nell’altro – fulmineo e fulminante è il distico della Succinta lode, una dichiarazione insuperabile. L’amore che si vive e quello che si sogna, amore fisico, amore sospirato, amore che non c’è più, amore che è vita.

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TAMARA DE LEMPICKA, “DONNA CHE DORME”

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LA FRASE DEL GIORNO
Non c’è regressione peggiore che dall’averti amata.
JORGE RIECHMANN, Amarti senza ritorno




Jorge Riechmann Fernández (Madrid , 24 marzo 1962) è un poeta, traduttore, saggista, matematico, filosofo, ecologista e dottore in scienze politiche spagnolo. Autore di un'ampia opera poetica, è legato al gruppo dei poeti della poesia della coscienza e alla generazione degli anni Ottanta o postnovisimos.


sabato 21 aprile 2012

Amore in metrò

 

ÓSCAR HAHN

IN UNA STAZIONE DEL METRÒ

Sventurati quelli che hanno scorto
una ragazza nel metrò

e si sono innamorati di colpo
e l’hanno seguita impazziti

e l’hanno persa per sempre tra la folla

Perché saranno condannati
a vagare senza meta per le stazioni

e a piangere sulle canzoni d’amore
che i musicisti ambulanti intonano nei tunnel

E forse l’amore non è che questo:

una donna o un uomo che scende da un vagone
in una stazione del metrò

e brilla per pochi secondi
e si perde senza nome nella sera

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“Forse l’amore non è che questo: / una donna o un uomo che scende da un vagone / in una stazione del metrò / e brilla per pochi secondi”: il poeta cileno Óscar Hahn conosce quella sensazione che si prova talvolta in metropolitana o su un treno o su un tram, quella che Fabrizio De André rese celebre cantando un testo di Antoine Pol: “Io dedico / questa canzone / ad ogni donna pensata come amore / in un attimo di libertà”. Quell’innamoramento che colpisce come un fulmine nelle volte della metropolitana, se tanti poeti vi dedicano versi: anche Seamus Heaney, Premio Nobel irlandese: “Fu qui, sotto la volta del tunnel, / tu a correre davanti nel tuo cappotto da viaggio, /io dietro come un agile dio per raggiungerti / prima che ti mutassi in giunco / o in qualche nuovo fiore, bianco / e carminio”. Ci dev’essere una magia sottile, un filtro d’amore che colpisce. Non ci credete? Nel 2008 a Parigi le edizioni RATP pubblicarono un libretto intitolato Amour mobile, dove c’erano una sessantina di messaggi raccolti nelle stazioni della metropolitana, tutti di questo tenore: “Tenevamo tutti e due la sbarra del metrò, direzione Mairie d’Ivry, le nostre mani si sono toccate e sono restate in contatto praticamente per tutto il tragitto fino a Châtelet, in un metrò strapieno: faccia a faccia ci gettavamo degli sguardi discreti. Non ho osato dirti niente tra tutta quella gente. Tu sei scesa…” A quel punto l’uomo si è trasformato in uno degli sventurati protagonisti della poesia di Óscar Hahn, un gozzaniano seguace dell’amore impossibile…

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FOTOGRAFIA © LABOPEN

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LA FRASE DEL GIORNO
Tu ignori dove vado, io dove sei sparita; / so che t'avrei amata, e so che tu lo sai!
CHARLES BAUDELAIRE, I fiori del male




Santiago, 05 de Mayo 2011 (UPI). El Consejo Nacional de la Cultura anuncia el ganador del Premio Iberoamericano de Poesía Pablo Neruda 2011, que recayó en Oscar Hahn. (Fotografías Sergio Gajardo)



Óscar Hahn (Iquique, 5 luglio 1938), poeta, critico e saggista cileno appartenente alla Generazione dei Sessanta nota anche come Generazione dispersa. Dopo il golpe del 1973 e l’arresto, scelse l’esilio negli Stati Uniti, dove insegnò letteratura spagnola all’Università del Maryland e in quella dello Iowa.

venerdì 20 aprile 2012

Cose di primavera


CORRADO GOVONI

LE COSE CHE FANNO LA PRIMAVERA

L'acqua rimbalzante dei passeri sui tetti.
La ghirlanda umida di viole che le rondini
sospendono intorno al cornicione della casa,
all'alba.
L'ombrello verde del mendicante di campagna
che va in elemosina sotto la pioggia.
L'organo di Barberia che suona nel sobborgo
il valzer triste della Vedova Allegra.
Le bianche nuvole di polvere
che corron dietro agli automobili.
Le lucciole nel camposanto.
Il giardiniere che vernicia i sedili di legno del viale.
L'innaffiatoio rosso abbandonato nel cortile.
Il ciuffo d' erba fresca nella gronda.
E la fontana che fa la piscia
dentro il suo cerchio,
mentre passan le guardie, col bastone
sotto il braccio, senza far contravvenzione.
L'asino del frate cercatore
che s'impuntiglia in mezzo alla strada
a non voler andar più avanti
malgrado le legnate del padrone,
perché è passata l'asina dell'ortolano.
Una rosa finta nel cappello
d'una signora divorabile.
E quella nuvola fanciulla
che si dondola laggiù
voluttuosamente
rinfrescando tutto il cielo
del roseo delle sue gambe ignude,
sull'altalena della doppia voce
del cuculo.

(da L’inaugurazione della primavera, Taddei, 1915)

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Avevamo già incontrato la “mistica delle piccole cose” a proposito dei versi di Corrado Govoni in una poesia simile a questa, Le cose che fanno la domenica. La struttura è identica, anche se una decina d’anni intercorrono tra le due liriche e Govoni è lanciato in quello che Gino Tellini definisce “viaggio intrapreso con frenesia” dal Crepuscolarismo al Futurismo e che si concretizza proprio nel trittico di raccolte degli anni 1911-1915: Poesie elettriche, L’inaugurazione della primavera, Rarefazioni e parole in libertà. “Viaggio” dice ancora Tellini “destinato, passo dietro passo, a mescolarsi e confondersi con il corpo stesso delle cose”: Govoni penetra nella materia, nel mondo visibile, procede per analogie e per cromatismi o, come in questo caso, per elenchi di sensazioni riuscendo così a descrivere l’essenza dalla somma di vari fattori. Allo stesso modo del tratteggio dei Divisionisti: una serie di pennellate che formano l’insieme.

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PLINIO NOMELLINI, “RAGAZZA ALLA FINESTRA” © FONDAZIONE CARIPLO

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LA FRASE DEL GIORNO
Oggi l’aria che si respira / fuori, all’aperto, / è un delirante filtro / di gioia e di giovinezza.
CORRADO GOVONI, L’inaugurazione della primavera




Corrado Govoni (Tàmara, 29 ottobre 1884 – Lido dei Pini, 20 ottobre 1965), poeta e scrittore italiano. Dopo una prima esperienza crepuscolare aderì al futurismo, staccandosene in seguito per proseguire su una strada più personale, capace di coniugare toni crepuscolari, liberty e simbolisti.


giovedì 19 aprile 2012

Il mare e la bottiglia


ANA MARÍA IZA

AMORE AMORE

Il Mare
gioca con la Bottiglia
la denuda
la intrappola con le sue gambe azzurre
la rivolta

Sale
sulle ginocchia porose della spiaggia
la culla
la sporca
la avvita
- la svita -
salta al collo
la beve

Il mare
brinda con la bottiglia
la frastorna
la sotterra
la dissotterra

La Bottiglia e il Mare!
Io ti ricordo.


Il titolo e l’ultimo verso sono la chiave di lettura per questa poesia di Ana Maria Iza scrittrice e giornalista ecuadoregna: perché in mezzo c’è una bottiglia che è in balia del mare, che viene portata dalle onde, cullata, voltata e rivoltata, addirittura abbandonata sulla spiaggia dalla risacca, sepolta sotto la sabbia e riportata alla luce. Una metafora sensualissima dove mare e bottiglia diventano amanti e trasmettono la passione e il sentimento della poetessa, il suo amore, la sua tenerezza, la sua nostalgia.

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IMMAGINE © SCULPTER SA VIE

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LA FRASE DEL GIORNO
L'amore è un'arte, come la musica, dà emozioni dello stesso ordine, altrettanto vibranti, qualche volta persino più intense.
PIERRE LOUŸS, Afrodite




Ana María Iza (Quito, 29 gennaio 1941), poetessa ecuadoriana. Laureata in Scienze della Comunicazione, ha esercitato come giornalista radiofonica. Insignita del Premio Nazionale di Poesia Ismael Pérez Pazmiño per ben quattro volte (1967, 1974, 1984 e 1995), ha esordito nel 1961 con Pezzo di niente.


mercoledì 18 aprile 2012

Ombra ferma


CARLO BETOCCHI

DELL’OMBRA

Un giorno di primavera
vidi l'ombra di un'albatrella
addormentata sulla brughiera
come una timida agnella.

Era lontano il suo cuore
e stava sospeso nel cielo;
nel mezzo del raggiante sole
bruno, dentro un bruno velo.

Ella si godeva il vento;
solitaria si rimuoveva
per far quell'albero contento
di fiammelle, qua e là, ardeva.

Non aveva fretta o pena;
altro che di sentir mattino,
poi il suo meriggio, poi la sera
con il suo fioco camino.

Fra tante ombre che vanno
continuamente, all'ombra eterna,
e copron la terra d'inganno
adoravo quest'ombra ferma.

Così talvolta, tra noi
scende questa mite apparenza,
che giace, e sembra che si annoi
nell'erba e nella pazienza.

(da Realtà vince il sogno, 1932)

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Albatro è il nome toscano per il corbezzolo, albatrella quando è giovane: una pianta dunque, che isolata nella brughiera proietta la sua ombra, è la protagonista di questa poesia di Carlo Betocchi. Il contrasto è tra la sua naturale e pacifica esistenza, inserita nello scorrere del tempo, nel normale corso delle cose, e l’esistenza umana soggetta ad ansie e riflessioni, a dubbi e inganni, a incertezze e affanni. Quell’incapacità di “godere il vento”, di “non aver fretta o pena”, di essere tutt’uno con l’universo, in pace, è l’angoscia tipicamente ermetica del poeta.

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FOTOGRAFIA © ELDON TROPICALS

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LA FRASE DEL GIORNO
E le attese e gli eventi / nell'alzato mio volto errano un poco / sostando e dubitando eguali al fioco / sospirare dei venti, / e in me è tutt'uno / l'animo e questo moto, incerto e bruno
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CARLO BETOCCHI




Carlo Betocchi (Torino, 23 gennaio 1899 – Bordighera, 25 maggio 1986, poeta e scrittore italiano. Fra i poeti ermetici è considerato una sorta di guida morale. Tuttavia, contrariamente a loro, fondava le sue poesie non su procedimenti analogici che evocano significati, ma su un linguaggio diretto, sul realismo e sulla tensione morale.


martedì 17 aprile 2012

Il coraggio di Heberto


HEBERTO PADILLA

POETICA

Di’ la verità.
Di’, almeno, la tua verità.
E poi
lascia che accada qualsiasi cosa:
che ti rompano la pagina amata,
che ti sfondino a sassate la porta,
che la gente
si  affolli davanti al tuo corpo
come se fossi
un prodigio o un morto.

(da Fuori dal gioco, 1968)

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La poetica del cubano Heberto Padilla si può desumere dalle sue note biografiche: nato sull’isola, a Pinar del Río, nel 1932, divenne uno degli intellettuali più giovani del paese e, al trionfo della Rivoluzione castrista, fu nominato direttore della Prensa Latina a New York. Tornato a Cuba, nel 1964, iniziò una lunga polemica ideologica con il regime che lo portò nel 1971 ad essere incarcerato con la moglie Belkis Cuza Malé, anche lei scrittrice, in seguito alla pubblicazione di Provocaciones. Solo nel 1980, grazie alle pressioni di intellettuali e politici internazionali, poté lasciare Cuba per gli Stati Uniti, dove morì nel 2000. E dunque la sua poetica è il coraggio delle proprie idee, a costo delle conseguenze che queste possono originare, è la forza della verità che non si piega davanti all’ideologia imperante, al pensiero unico. La poetica di un uomo che non scende a compromessi, che non vende la propria poesia e non la sottomette a nulla, “qualsiasi cosa accada”.

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LA FRASE DEL GIORNO
Proteggiti dai timidi e dai sopraffatti, perché un giorno eviteranno di alzarsi in piedi quando entrerai.

HEBERTO PADILLA, “Da scrivere nell’album di un tiranno”, Fuori dal gioco




Heberto Padilla (Puerta de Golpe, 20 gennaio 1932 – Auburn, Alabama, 25 settembre 2000), poeta cubano. Dapprima entusiasta della rivoluzione cubana, di ritorno da un trienno nel blocco sovietico, maturò seri dubbi e una visione critica del governo di Fidel Castro. Arrestato e imprigionato, fu liberato su pressioni degli intellettuali di tutto il mondo e scelse l'esilio negli Stati Uniti.


lunedì 16 aprile 2012

Dissanguati di memoria

 

GEMMA GORGA

ASSENZA

Stanotte, mentre dormivo,
sei venuto a leggere i miei libri.
Non hai acceso la luce,
non ti sei seduto sul divano,
non ti sei tolto i guanti,
non hai fatto rumore nello scorrere le parole.
Però il tuo sguardo è rimasto attaccato alle pagine
come il segno quasi impercettibile del rossetto
su un bicchiere di cristallo di Boemia.
E così, notte dopo notte, la mia biblioteca e io
ci dissanguiamo di memoria,
senza che nessun medico possa diagnosticarne la causa.

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“Ora che non ci sei, la stanza si riempie delle farfalle assurde del ricordo” scrive in un’altra lirica la poetessa catalana Gemma Gorga (Barcellona, 1968) per descrivere il dolore dell’assenza, dedicata alla scomparsa del padre. Tra l’essere del passato e il non essere del presente si gioca anche questa poesia, impregnata non solo di una sorda solitudine ma anche della triste consapevolezza che il ricordo fatalmente è destinato a perdersi – ed è bellissima l’immagine scelta, del “ladro” di parole che sono vita, che sono sangue. Non c’è rimedio, non c’è cura per questa malattia.

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GIORGIO MARIANI, “SOGNANDO”

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LA FRASE DEL GIORNO
Quando te ne vai, ti lasci dietro un tu
invisibile incollato alle cose più piccole: può essere un capello sul cuscino, uno sguardo che si è impigliato nelle corde del desiderio, una traccia di saliva  sull’angolo del divano, una molecola di tenerezza nel piatto della doccia.
GEMMA GORGA




Gemma Gorga i López (Barcellona, 1968), poetessa catalana. Laureata in Filologia Spagnola, insegna all’Università di Barcellona. La sua poetica, iniziata con Ocellania nel 1997 e proseguita con la prosa poetica di Libro dei minuti, è un'ossessiva ricerca di costruzione sul disordine.


domenica 15 aprile 2012

Sogno infranto


SERGIO CORAZZINI

IL FANCIULLO SUICIDA

«A Torino, un fanciullo di quindici anni si gettava dalla finestra, disperando di raggiungere i suoi alti ideali».

I

I suoi compagni non avean chimere,
non nutrivano in cuore ardite voglie,
erano tante piccolette foglie
fiorite in un medesimo verziere.

Ma il fanciullo, sdegnoso, nelle altere
luci sognava di abbaglianti soglie,
ed attendea la pura man che coglie
fiore da fiore ne le primavere.

O il sogno vano! L’anima impotente,
ruggiva de la sua tetra sconfitta,
e il cuore, oh il cuore, lagrimava sangue!

Il bimbo disperò perdutamente,
e la debole fibra derelitta
sentì costretta da insaziabil angue.

II

Oh, la gloria e la morte, in loro arcano
fascino hanno le illusioni istesse!
Quanta di sogni ardimentosa messe
nasce in un cielo e muore in un pantano!

Quietamente il bimbo a morte elesse
la giovinezza sua fiorente in vano
ne l’estasi d’un sogno sovrumano
che la fantasiosa anima eresse.

Una sera, s’uccise. Ne l’azzurro
passava e ripassava un’allegria
di rondini. S’udì nell’aria un pianto,

un grido, un tonfo sordo, un gran susurro
di popolo dolente... Ne la via
come il suo sogno, egli si giacque, infranto.

(da Dolcezze, 1904)

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Ha destato molta emozione la vicenda di Flavio, il quindicenne di Moncalieri che si è ucciso gettandosi sotto un treno con un quattro e mezzo sul compito di matematica nello zaino. Massimo Gramellini ha commentato, sulla Stampa del 13 aprile: “Qualcuno si ferma prima. Perché più idealista, più tormentato, più debole. Nessuno lo incolpi e nessuno si senta in colpa. Flavio è andato per la sua strada e a me viene soltanto da dirgli ciao”. Quello che sgomenta è quella vita buttata, recisa come un fiore di giacinto sotto la falce del mietitore: troppo giovane, troppo inesperta, non ancora smagata, non ancora con il pelo sullo stomaco del disinganno. Sempre Gramellini ricorda l’incipit di Alta fedeltà, romanzo di Nick Hornby: “Se volevi davvero incasinarmi, dovevi arrivare prima” e a parlare è un trentenne che ormai sa che per amore non vale la pena ammazzarsi, così come per un brutto voto. Tutte riflessioni che ho fatto leggendo per caso questa poesia – piena di coincidenze incredibili con la vicenda dei nostri giorni - di Sergio Corazzini, crepuscolare sui generis morto di tubercolosi a soli 21 anni: la scrisse a 17, già minato dal male e presago della fine che lo attendeva: la sua anima dolce e triste non poteva che entrare in empatia con il quindicenne lanciatosi nel vuoto. A noi invece resta nelle orecchie l’urlo agghiacciante e disperato del padre di Flavio: “Perché?”

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NORMAN ROCKWELL, “LITTLE BOY HOLDING”

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LA FRASE DEL GIORNO
A che serve / sbarazzarsi del mondo, / quando nessun'anima mai sfugge al destino eterno della vita?
EDGAR LEE MASTERS, Antologia di Spoon River




Sergio Corazzini ( Roma, 6 febbraio 1986 - Roma, 17 giugno 1907), poeta italiano. Crepuscolare, assorbì qualche lezione del Simbolismo e dal Decadentismo. Morì di tisi a soli 21 anni. Pubblicò sei opere tra il 1904 e il 1906: Dolcezze, L'amaro calice, Le aureole , Piccolo libro inutile, Elegia e Libro per la sera della domenica.




sabato 14 aprile 2012

Titanic


THOMAS HARDY

LA CONVERGENZA DELLE METÀ

versi sulla perdita del Titanic

I

Nella solitudine del mare
al fondo dell’umana vanità
e dell’Orgoglio che la progettò, immobile sta.

II

Le camere d’acciaio, un giorno pire
dei suoi fuochi di salamandra,
fredde correnti percorrono risuonando al ritmo delle lire delle maree.

III

Sugli specchi destinati
a riflettere l’opulenza
striscia Il verme marino, grottesco, viscido, indifferente animale.

IV

Gioielli progettati con gioia
per rapire menti sensuali
giacciono opachi, le loro scintille offuscate, nere e cieche.

V

Pesci dai fiochi occhi a palla
ammirano gli equipaggiamenti dorati
e si domandano: “Che ci fa questa vanagloria, quaggiù?”

VI

Allora: mentre forgiava
questa creatura dall’ala tagliente
la Volontà Immanente che muove e sorregge tutto

VII

Preparava uno sposo sinistro
per lei – così allegramente grande -
una Forma di Ghiaccio, ancora lontana e separata.

VIII

E mentre l’elegante nave cresceva
in statura, grazia e colore,
nel silenzio oscuro cresceva lontano anche l’Iceberg.

IX

Estranei sembravano essere
nessun occhio d’uomo poteva vedere
l'intima saldatura della loro storia futura

X

O presumere che fossero incanalati
su rotte coincidenti
per diventare a breve due  metà di un solo augusto evento,

XI

Finché la Tessitrice degli Anni
non ha detto “Ora”, e ognuno ha saputo
e il compimento è giunto a scuotere due emisferi.

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Si sono versati fiumi di inchiostro e note musicali e chilometri di pellicole cinematografiche sul Titanic, “questa nera nave che mi dicono non può affondare” per citare almeno L’abbigliamento di un fuochista di Francesco De Gregori, che affondò il 14 aprile 1912 dopo aver urtato un iceberg poco prima della mezzanotte molto al largo di Terranova. Morirono 1553 dei 2223 passeggeri e la notizia fece il giro del mondo come “il più disastroso naufragio della storia”. Dalla cronaca passò direttamente nel mito: 18 film, da Saved from the Titanic del 1912 a Titanic 3D del 2012, citazioni come quella in Ghostbusters, dove arriva come nave fantasma nel porto di New York, location per romanzi d’avventura e spionaggio quale Recuperate il Titanic! di Clive Cussler. E rare poesie, come questa di Thomas Hardy (1840-1928), poeta inglese legato al naturalismo: la scrisse pochi giorni dopo il disastro, si scagliò contro il gigantismo del progresso e destinò alle famiglie delle vittime i proventi della vendita. Non un granché come poesia, ma una testimonianza storica interessante.

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WILLY STOWER, “TITANIC SINKING”

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LA FRASE DEL GIORNO
Qualcosa rimane sempre – / bottiglie, tavoli, sedie a sdraio, stampelle, / i detriti lasciati alle spalle, / un vortice di parole, /canti, bugie, reliquie / rottami – tutto questo – / che danzano e rotolano sull’acqua
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HANS MAGNUS ENZENSBERGER, La fine del Titanic




Thomas Hardy (Upper Bockhampton, 2 giugno 1840 – Dorchester, 11 gennaio 1928), poeta e scrittore britannico. Divenne famoso per i suoi romanzi improntati alla nuova corrente letteraria del realismo ma con notevoli influenze romantiche. Quasi tutti i suoi romanzi si svolgono nel Wessex, una contea inesistente, regno anglosassone medievale, e narrano di storie d'amore tormentate con risvolti tragici.



venerdì 13 aprile 2012

Carta bagnata


MARIO BENEDETTI

CARTA BAGNATA

Dai fiumi
dal sangue
dalla pioggia
o dalla rugiada
dal seme
dal vino
dalla neve
dal pianto
le poesie
di solito
sono
carta bagnata.

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La poesia è emozione, come si è sempre detto: lo sa bene il poeta e romanziere uruguayano Mario Benedetti, che scrisse “Chi l’avrebbe mai detto / che queste mie poesie / sarebbero state / di altri?”: dietro ogni poesia dunque c’è un’emozione che la origina, una meraviglia che sorprende il poeta e che poi volerà per il mondo come un seme di tarassaco. Che sia stata la natura, la vita, il dolore, l’amore, l’eros, la tristezza, la gioia, la malinconia, l’ebbrezza… tutto ciò è su quella carta, è dentro quei versi.

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FOTOGRAFIA © AIDANONE

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LA FRASE DEL GIORNO
Cantiamo perché piove sul calanco / e siamo militanti della vita / e perché non possiamo né vogliamo / lasciare che la canzone diventi cenere.

MARIO BENEDETTI




Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. Figlio di immigrati italiani, fece parte della Generazione del’45. Nel 1973 fu costretto all’esilio dal golpe militare. Rientrò nel 1983.


giovedì 12 aprile 2012

Quella notizia


NICANOR PARRA

LE MIMOSE FIORITE

Anni fa passeggiando in una strada
dove già le mimose erano in fiore
un amico informato mi disse
che tu da poco tempo eri sposata.
Risposi che davvero non poteva
quella notizia affatto riguardarmi.
Però anche se proprio non t’ho amata,
e questo tu lo sai meglio di me,
ogni volta, e non potresti crederlo,
che io vedo fiorire le mimose
provo la stessa cosa che provai
quando mi fu sparata a bruciapelo
la notizia desolante che tu
ti eri sposata con un altro.

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Ah, l’amore! Anche se proviamo a nasconderlo, se riusciamo a dissimularlo benissimo, comunque prorompe sempre, la sua forza lo fa affiorare. E se mentiamo agli altri – o meglio, se teniamo per noi quell’amore, se omettiamo di manifestarlo urbi et orbi, certamente non possiamo fingere con noi stessi, non possiamo mentirci quando ci troviamo con l’anima nuda di fronte allo specchio della nostra coscienza. Il poeta cileno Nicanor Parra, teorico della cosiddetta “antipoesia” – deliberatamente colloquiale e spesso provocatoria - questo va considerando tornando con la memoria a quando venne a sapere che la donna segretamente amata si era sposata: quel giorno abbozzò, fece buon viso a cattivo gioco ma già si abbandonava al doloroso ricordo dell’«avrebbe potuto essere ma non è», che diventa più acuto quando ritorna il tempo di primavera a ridestare la sensazione di allora.

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FELIX VALLOTTON, “MIMOSAS EN FLEURS À CAGNES”

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LA FRASE DEL GIORNO
Amami, anche se io non ti amo. / Amami, anche se non merito l'amore. / Amami, anche se io non so amare / e amami anche se non esiste l'amore.
KATHERINE ANNE PORTER, La nave dei folli




nicanor-parra3Nicanor Segundo Parra Sandoval (5 settembre 1914), poeta matematico, filosofo e fisico cileno. Incarnò l’antipoesia, teorizzando il distacco dagli schemi poetici tradizionali. Fu candidato tre volte al Premio Nobel senza vincerlo mai. Ottenne il Premio Reina Sofia nel 2001 e il Premio Cervantes nel 2011.

mercoledì 11 aprile 2012

La nudità delle parole


HUGO MUJICA

ARIA

È notte, fa freddo

                         e lontano
il canto di una donna
                                      sembra cullare la vita.

La voce, non il silenzio,
                                è la nudità delle parole.

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Capita sempre più di rado di sentire cantare nella notte – a parte qualche giovane ubriaco uscito dal bar che schiamazza cercando la strada per tornare a casa. Anche per questo un canto di donna notturno ha il sapore della nostalgia: è la ninna nanna di una madre per il proprio bambino, è la dolce insonnia della ragazza innamorata. Il poeta argentino Hugo Mujica, filosofo e antropologo attratto dalla vita meditativa – visse sette anni in un convento trappista con la regola del silenzio prima di entrare in seminario e diventare sacerdote – ascolta quel canto con la profonda convinzione che “La storia del silenzio sono le parole, / l’ascolto di quel silenzio è la poesia”.

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PHAM HOÀNG, “ÀNH MINH HOA”

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LA FRASE DEL GIORNO
La parola è una chiave, ma il silenzio è un grimaldello.
GESUALDO BUFALINO, Il malpensante




Hugo Mujica (Buenos Aires, 1942), poeta, scrittore e saggista argentino. Nella sua vita fu allievo di Ginsberg, e in seguito monaco trappista e poi sacerdote. Nel 1983 iniziò a pubblicare le sue prime opere letterarie. Oltre ai suoi venti libri, ha tenuto rubriche riflessive sulla rivista Viva e  sul quotidiano Clarín



martedì 10 aprile 2012

Una stanca disillusa folaga


DINO BUZZATI

CANZONETTA IN FORMA DI

 

                                    una
                                     stanca
                                      disillusa
                                folaga  che   batte
                                 l'ali sull'acquitrino
                               del  41  dicembre  lunga
                              lunga  notte tu  dicevi che
                                saresti venuta quel  giorno
                              o quell'altro, giuravi e invece!                       con la  mia
                            Così le ho date da  portare a questo                   solita ingenuità!
capriccioso uccello certe parole per lei che sono però poco leggibili  perché  nascoste sotto le piume. Ma
il volatile pianta grane, il volatile si attarda, zoppica qua e là, si posa,si addormenta perfino e ronfa.
delle maledette               Io lo sgrido, lo supplico, lo frusto
grane                            lo frusto sulle ali,forte, forte
                                    nella speranza si riscuota
                                 e corra e si precipiti. Ma
                                  è stanco, dice che no
                                che no. Tutto inutile
                               amore  mio. Adieu.
                                 (Un'ala lunga
                                  l'altra più
                                      corta
                                      sì).


(da Le poesie, Neri Pozza, 1982)

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La genialità di Dino Buzzati si espresse in vari modi: lo scrittore di racconti meravigliosi, il romanziere del Deserto dei Tartari è noto a tutti. Ma Buzzati era altresì un valente pittore e illustratore: il Poema a fumetti, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, I miracoli di Val Morel sono degli esempi di come sapesse coniugare la letteratura con l’arte. Qui invece non ci sono disegni a commento: la poesia stessa è l’illustrazione. Si tratta naturalmente di un esempio di poesia visiva come già ne scrissero Guillaume Apollinaire e Corrado Govoni. Il testo diventa forma, si dispone a rappresentare una folaga – “capriccioso uccello” – preso a messaggero dei tormenti d’amore del poeta.

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DINO BUZZATI, “RAGAZZA CHE PRECIPITA”, 1962

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LA FRASE DEL GIORNO
C’è un sistema semplicissimo e pratico per stabilire se una poesia è vera poesia: leggetela distrattamente, meccanicamente, senza il minimo sforzo, addirittura pensando ad altro. Se è poesia di quella buona, state pur certi che qualcosa vi entrerà nel cervello, vi toccherà come una punta.
DINO BUZZATI, In quel preciso momento




Dino Buzzati, all'anagrafe Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo e poeta italiano. Fu cronista e redattore del Corriere della Sera. Autore di romanzi e racconti surreali e realistico-magici, è celebre per Il deserto dei Tartari.